Nacque il 17 giugno 1867 da una famiglia di scarse possibilità economiche. Fu avviato allo studio
della pittura dopo che nell'ambiente scolastico fu rilevata la sua naturale propensione
per l'arte figurativa, grazie anche al contributo del Comune. Infatti fu proprio l'Amministrazione
Comunale d'allora, con un proprio provvedimento, a erogare un contributo attraverso
il quale fu possibile avviare il giovane artista a frequentare l'Accademia di Belle Arti di Venezia.
A 16 anni si trasferì a Venezia e si iscrisse al Regio Istituto di Belle Arti,
dove ottenne "per meriti speciali di vocazione artistica" la possibilità di studiare
gratuitamente, vivendo ogni anno di borse governative. I maestri che incontrò
nel corso degli studi (Pompeo Molmenti, Ettore Tito, Ludovico Cadorin e altri)
espressero giudizi positivi sulle sue notevoli qualità di disegno, pittura
a olio e capacità di trattare la figura.
Avrebbe avuto senza dubbio maggiori riconoscimenti
e la possibilità di grandi affermazioni, se la sua educazione artistica non fosse stata interrotta
da un grave difetto della vista, che lo costrinse ad abbandonare Venezia per tornare
a San Donà di Piave. Portò con sé le medaglie, i premi, le menzioni onorevoli conferitegli
“per voto collettivo” dalle Commissioni esaminatrici dell'Istituto negli anni scolastici
che vanno dal 1882/83 al 1886/87.
A destra e sotto: Alberi
Ancora più sotto: Filare di Alberi
Tra la innumerevole produzione di Vittorio Marusso, vanno ricordate le pale d'altare
che si trovano nelle chiese di Musile di Piave, di Passarella di Sotto, di Montemagré di Schio,
nella cappella dell'Orfanotrofio di San Donà di Piave, ecc.
Negli anni Venti, neanche sessantenne, Marusso era già quasi cieco.
E questa sua infermità lo rendeva irascibile, scontroso. Il pittore Gigi Mozzato
che allora aveva ventidue anni e studiava presso
il Liceo Artistico di Venezia, ogni sera, quando ritornava da Venezia, andava a
prelevare il Marusso da un amico e lo accompagnava a casa.
Marusso portava occhiali con spesse lenti, che sembravano
dei piccoli binocoli. Camminava a fianco del giovane fermandosi ogni volta che qualche
ombra gli scorreva davanti agli occhi.
Raggiunto lo studio si sentiva più sicuro e disinvolto nei movimenti. La sua stanza
di lavoro era l'immagine della miseria, tanto era piccola e disordinata. Un solo balcone
sempre aperto dava sul piazzale del Foro Boario (oggi Piazza Rizzo).
Un momento davvero drammatico in cui Mozzato capì quale grave tragedia rappresentasse
per Marusso la cecità, la solitudine, fu quando, credendosi solo, il vecchio pittore
prese a gridare che non ci vedeva più e, avvertita la presenza del giovane, si mise a piangere.
Il Piave
Ma il ricordo più caro, avrebbe raccontato il Mozzato, erano le passeggiate
lungo il Piave con lui, aiutandolo a portare il cavalletto
e la cassetta dei colori: "Davanti ad un tramonto Vittorio Marusso si fermava
ad osservare l'immagine che tanto l'affascinava, quasi che fra questi due elementi
della natura [NdC: il Piave e il tramonto] si instaurasse un dialogo che solo loro potevano capire.
Sopra e sotto, un tema che torna: Tramonto
Con poche pennellate
metteva sulla tela quegli attimi: poche macchie di rosso, qualche tocco di verde,
un punto luminoso dove il Piave rifletteva la luce del cielo. Poi, nello studio, completava
il dipinto aggiungendo quello che della natura resta uguale, immutabile..."
Negli ultimi anni di vita la mole appesantita e i grossi occhiali
schermati di nero, forati nel mezzo per concentrare la luce, segnarono
la decadenza fisica di un uomo, orgoglioso nella sua giovinezza della sua prestanza fisica.
Nel 1940, a causa della cecità e della miseria in cui era ridotto, fu ricoverato nella casa
di riposo cittadina “Monumento ai Caduti”, ora sede dell'Accademia d'Arte che porta il suo nome.
La notte del 29 novembre 1943, in piena guerra mondiale, al buio, cercò di raggiungere il bagno.
Sbagliò percorso e si diresse verso l'atrio delle scale. Nell'oscurità cadde sbattendo
la testa sui scalini di cemento e morì.