Eroi della Resistenza

I Martiri di Blessaglia (Pramaggiore)
(27 novembre 1944)

I «martiri di Blessaglia» sono considerati localmente «il più alto tributo di sangue della lotta partigiana nel Veneto orientale e insieme la testimonianza dell’ampiezza, dell’asprezza e dei suoi caratteri peculiari».
Nel novero degli uccisi e durante le cerimonie di commemorazione sono compresi i sei partigiani impiccati a Blessaglia di Pramaggiore il 27 novembre 1944 e altri quattro partigiani, due uccisi in precedenza e due impiccati successivamente nello stesso luogo.

Secondo i documenti della brigata «Ippolito Nievo B» l’eccidio fu innescato dal minamento dei ponti da parte del distaccamento del partigiano «Inglis» che fece brillare due mine, la prima il 24 sul ponte sul canale Saviedo, della statale Treviso-Portogruaro, all'altezza di Blessaglia, la seconda il 25 novembre sul ponte sul Loncon; le due esplosioni causarono danni irrilevanti, ma provocarono un ampio rastrellamento nella zona di Blessaglia, Pramaggiore e Loncon di Annone Veneto: le SS del tenente Bloch, le brigate nere di San Donà o di Portogruaro, e le SS di Motta di Livenza bloccarono tutte le strade di accesso alla zona compresa fra Pramaggiore, Blessaglia, Salvarolo e Cedrugno.
Alle quattro del mattino di domenica 26 il rastrellamento era già in corso. Tedeschi e fascisti frugavano la campagna, le case dei contadini, i granai, i fienili, le stalle. Sapevano che molte famiglie di quei paesi ospitavano partigiani.
Ricorda Sante Tonon, contadino di Pramaggiore, la cui povera dimora era rifugio di partigiani e ripostiglio di armi:

Me mama la gaveva l'abitudine de alsarse bonora; 'a xe ndada fora e 'a ga visto tedeschi e fassisti che piantonava 'a casa. La xe vignùa dentro e 'a ga dito:
«Vardè che ghe xe soldai coi mitra in man, fora, dapartuto». E infatti i xe entrai e i ga frugà par tute 'e stanse. Dopo i ne ga dito:
«Venite via con noi».
Ièrimo tre fradei e i ne ga portà via tuti tre.

A centinaia gli uomini furono strappati dalle loro case, dai letti ancora tiepidi di sonno, dalle stalle, dove avevano dato inizio al lavoro quotidiano.
Con la minaccia delle armi furono avviati a Pramaggiore.

In quello stesso 26 novembre, si verificò l’uccisione del partigiano sardo Bachisio Pau («Valerio»). Nella retata furono catturati Giuseppe De Nile, «Valerio» (Michail Zinovski) e il terzetto sandonatese costituito da Flavio Stefani, Giodo Bortolazzi e Casimiro Zanin.
Pau («Valerio»), secondo il rapporto del battaglione «Bertin», sarebbe stato ucciso sul posto di cattura, mentre alcune testimonianze dicono che si sarebbe difeso sparando alcuni colpi di pistola e, ferito, sarebbe stato portato con gli altri al luogo dell'impiccagione, ma quest'ultima versione contrasta con la nota inviata della Pretura, di cui diremo in seguito.

Lunedì 27, alle ore dieci, nelle aule delle scuole elementari di Pramaggiore oltre duecento civili di sesso maschile erano trattenuti dai nazifascisti; tra di loro i cinque partigiani, due dei quali catturati nelle case dei Rosa e dei Saccoman, famiglie di piccoli proprietari terrieri.
I partigiani e altri accusati di averli ospitati (tra i quali Giuseppe Dall’Acqua, Armando Carlassare, Egisto Vendrame, Giovanni e Dorino Visentin) furono torturati e seviziati durante gli interrogatori aventi lo scopo di identificare i partigiani e i collaboratori della Resistenza.
Il Dall'Acqua subì torture per quattro ore, riportando la frattura di sette costole, della clavicola, dell'osso sacrale, e la lesione del vello pleurico.
Anche la popolazione di Blessaglia, strappata dalle case, fu intanto riunita in piazza.
Era un mattino piovigginoso, il cielo basso e uniformemente grigio.
I partigiani, con le corde al collo, laceri e irriconoscibili per le torture subite, furono fatti sfilare davanti alla folla impietrita, costretta ad assistere sotto la minaccia delle armi. I nazifascisti indussero i partigiani a indicare le persone che li avevano aiutati, ospitati, dato loro cibo, ma questi non pronunciarono una parola che potesse compromettere amici e patrioti.

Nel frattempo il Gap di Pramaggiore si era acquattato nel fitto di un bosco, quello di Zacchi, che però era circondato da centinaia di tedeschi e fascisti; era impossibile tentare una qualsiasi sortita, anche perché le mitragliatrici presero a sparare e i pochi gappisti riuscirono a stento a sfuggire alla cattura e alla morte.

I partigiani, ammanettati e legati, con la corda al collo, si strascinavano penosamente verso il luogo del supplizio. Uno di loro aveva un occhio che gli pendeva dalla testa.
>Eccoli a Blessaglia, lungo la via Postumia, lì lungo la curva dove c'è un filare di platani. La folla fu fatta assiepare a destra per chi guarda gli alberi.
A uno a uno i partigiani vennero posti con le spalle ai tronchi.
I fascisti procurarono una scala presso una famiglia di contadini e la appoggiarono al primo tronco.
Dalla folla uscì un prete, don Luigi Peressutti, parroco di Pravisdomini, si fece largo nella cerchia di soldati.
«In nome di Dio, in nome dell'Italia, in nome delle madri di questi giovani, voglio sapere cos'è accaduto».
«Questi essere partigiani».
«Ma che delitto hanno commesso?»
«Essere partigiani».
Il sacerdote supplicò che gli fossero affidati.
«Nein, nein... impiccati».
Allora chiese di potesri avvicinare loro per recare i conforti della fede.
«Niente, niente, fare dopo, restare impiccati per tre giorni».
Don Luigi - che molti anni dopo avrebbe riferito il dialogo sopra a Gianfranco Costini, che l'avrebbe registrato e trascritto in Testimonianze sulla resistenza locale, stampato a cura del Comune di Annone Veneto, 1975 - si volse allora verso la popolazione presente e la invitò a chiudere gli occhi e a pregare.

A uno a uno i partigiani affrontarono la morte. Don Luigi li benediceva da lontano. Nessuno che abbia proferito una parola.

C'era un russo tra loro, lo chiamavano Marcello. Il suo nome si sarebbe saputo solo anni dopo. Combatteva con il Gap di Pramaggiore: era venuto a condividere con i partigiani la vita alla macchia, e a morirvi. Braccato dai fascisti, si era appostato sotto un carro agricolo, aveva anche tentato di sparare, ma il parabellum si era inceppato.

A una delle vittime, uno dei partigiani di San Donà, c'è chi dice Zanin, si spezzò la corda ed egli cadde, ancora in vita, ai piedi del platano a cui era stato appeso. Il tenente Bloch gli puntò la pistola alla nuca, premette il grilletto per far fuoco, ma la pistola si inceppò. Intervenne allora don Luigi Peressutti, dicendo che per la legge italiana quell’uomo meritava salva la vita, ma Bloch rispose che per i delinquenti vigeva la legge delle SS; e fattasi dare la pistola dal suo aiutate freddò il partigiano. Poi il boia, che era un fascista di Parma, portò a termine il lavoro.
Erano le quattordici e trenta di lunedì 27 novembre '44.
La folla, non più costretta dalle armi, lentamente, mestamente, diradò.
Alcuni armati girarono i corpi in modo che i loro occhi ormai fissi fossero rivolti verso la strada.
Venne in seguito trascinato e abbandonato ai piedi degli alberi anche il corpo di Bachisio Pau, ucciso durante il rastrellamento.

I corpi rimasero appesi fino al pomeriggio di mercoledì 29 novembre, vennero infine staccati e distesi con la faccia a terra, secondo gli ordini di Bloch, che dichiarò non essere i delinquenti degni di guardare il cielo.
I sei vennero gettati sopra un carretto e trasportati al cimitero di Pramaggiore e lì sepolti nella fossa comune contrassegnata con il numero 260. Quello stesso giorno, con una nota inviata al Comune di Pramaggiore, la Pretura di Portogruaro dichiarava: «29 novembre 1944 ore 11.30. Dalle Pretura di Portogruaro al Comune di Pramaggiore. In relazione alla V/ comunicazione telefonica vi autorizzo a seppellire senza nulla osta i cadaveri dei cinque impiccati poiché trattisi di esecuzione avvenuta per ordine Militare in cui l'autorità Giudiziaria non c'entra per nulla. Accertare ugualmente l'identità personale dei cinque impiccati e provvedere alla loro sepoltura. Podestà o Commissario Prefettizio redigerà rapporto all'Ufficiale dello Stato Civile agli effetti della trascrizione dei relativi atti di morte nei prescritti registri. In caso di mancata identificazione rilevare minutamente dati somatici ed altri connotati particolari utili agli effetti della futura identificazione. Provvedere inoltre ad eseguire eventuali fotografie. Trasmettere un rapporto anche all'autorità giudiziaria per conoscenza. Per il Pretore Il Cancelliere F.to Fuochi».
Furono sepolti nella terra, solamente con un po' di paglia sotto, messa dalla pietà della gente.

Nel frattempo, a Belfiore, frazione di Pramaggiore

Lo stesso 29 novembre vennero arrestati, presso la casa Rossi di Belfiore, altra frazione di Pramaggiore, al bivio per San Stino, altri due partigiani: il contadino sardo Antonio Cossa («Remmit») e Alfredo Fontanel («Fulmine»), un bracciante di Pramaggiore. I due furono impiccati verso le dieci di sera di sabato 2 dicembre agli stessi platani dove cinque giorni prima era morti i sei.
Le persone che la domenica mattina si recavano a messa furono le prime testimoni della violenza. Anche questi due partigiani rimasero fino al lunedì successivo appesi a quegli alberi che oramai portavano i segni di otto vite tragicamente spezzate.

Questo l'elenco delle vittime decedute

  1. Giodo Bortolazzi, di Eugenio e di Maria Camillo. Nato a San Donà di Piave il 6 luglio 1926, divenne partigiano combattente dal 10 aprile 1944 entrando nella Brigata «Veneziano» della «Ippolito Nievo B». Catturato dai nazifascisti durante il rastrellamento del 26 novembre 1944, fu impiccato a Blessaglia il 27 novembre.
  2. Flavio Luigi Stefani, di Secondo e Emma Bergamo. Nato a San Donà di Piave (fraz. Palazzetto) il 3 maggio 1923, si arruolò volontario nell’agosto 1942; entrò nelle file partigiane il primo maggio 1944 nella Brigata «Veneziano» della «Ippolito Nievo B». Catturato durante il rastrellamento del 26 novembre 1944, fu impiccato a Blessaglia il 27 novembre.
  3. Casimiro Benedetto Zanin, di Napoleone e di Palmira Cedrelli. Nato a S. Donà di Piave (Ve) l’8 gennaio 1924, entrò nelle file della Brigata «Veneziano» della «Ippolito Nievo B» il 10 maggio 1944. Catturato nel rastrellamento del 26 novembre 1944, fu impiccato a Blessaglia il 27 novembre.
  4. Michail Zinowski «Marcello». Nato a Kiuka (Ossipoic), ex Unione Sovietica, nel 1917, partigiano combattente dall’ottobre 1944 nel Battaglione «Bertin-Longo» della «Ippolito Nievo B», fu catturato durante il rastrellamento del 26 novembre 1944, torturato e impiccato a Blessaglia il 27 novembre.
  5. Giuseppe De Nile, di Arcangelo e di Sinforosa D’Orrio. Nato a S. Chirico Raparo (Pz) il 20 marzo 1923, fu partigiano combattente nel Battaglione «Bertin-Longo», Brigata «Anthos» della «Ippolito Nievo B» dal gennaio 1944. Catturato durante il rastrellamento del 26 novembre 1944, fu impiccato il 27 novembre a Blessaglia.
  6. Bachisio Pau «Valerio», di Giovanni Antonio e Maria Secchi. Nato a Buddusò (Ss) il 30 agosto 1919, fu partigiano combattente dal 6 gennaio 1944 nel Battaglione «Bertin-Longo», Brigata «Anthos» della «Ippolito Nievo B». Catturato durante il rastrellamento del 26 novembre 1944 dopo uno scontro a fuoco, venne trasportato ferito (secondo alcune fonti già morto) a Blessaglia e ivi impiccato il 27 novembre.
  7. Angelo Antonio Cossa «Remmit», di Giovanni e di Margherita Pudda. Nato a Bultei (Ss) il 4 gennaio 1921, fu partigiano combattente dal 1° gennaio 1944 nella Brigata «Veneziano» della «Ippolito Nievo B». Catturato dai nazifascisti nel corso del rastrellamento del 29 novembre 1944, torturato presso il comando tedesco di Pravisdomini, fu riportato ormai in fin di vita il 2 dicembre a Blessaglia e impiccato a uno degli alberi dell’eccidio del 27 novembre.
  8. Alfredo Fontanel «Fulmine», di Santa Fontanel. Nato a Pramaggiore (Ve) il 13 settembre 1926, fu partigiano appartenente al Battaglione «Bertin» della «Ippolito Nievo B» dal primo giugno al 2 dicembre 1944. Catturato durante il rastrellamento del 29 novembre 1944, condotto al presidio di Pravisdomini, torturato, fu impiccato a Blessaglia il 2 dicembre.