Il palazzo di giustizia

San Donà aveva bisogno di un nuovo palazzo per il Tribunale? No.

Eppure fu realizzato. Un bel palazzo tondo, moderno, in vetro e cemento.
Fu realizzato nel 2008, e inaugurato nel 2009, giunta Zaccariotto.

Via Trento si popolò di facce da tribunale, espressioni assenti e incravattate, manulegate a valigette conservatrici della vacuità.

Non si era mai vista tanta brutta gente in via Trento.

Prima la ditta Soim, poi Ape Srl di Padova, di Domenico Nico Finotti, furono bersaglio degli strali dell'opposizione, in particolare del Pd con Michele Marangon, che aveva messo il naso negli ingarbugliati passaggi di proprietà dei terreni contesi in via Trento.
La domanda che qualunque cittadino si faceva era: perché l'Amministrazione comunale accettava di pagare un affitto esoso, esosissimo a una società privata? Che ci guadagnava l'Amministrazione comunale ad affittare a tali prezzi un tal palazzo?
E altrettanto legittima (e facile) era la risposta. La città (a dispetto delle risposte ufficali) non ci guadagnava... nulla!

op. 420/168 - sonetto 298/163° in dialetto

El Paeazzo de Giustizia

I lo ha fat tondo parché un portento
à tirà fora che el cerchio ’l é el simboeo 
de ’a perfezion; e i lo à fat de cemento 
e véro par creda che in te chel limbo

tutti posse, se ’i vol, vardarghe drento:
sol che abinà ai avocati el limbo
’l é ’l giron infernal ë iredento,
col cerchio so metafora de schimbo,

ché dà l’idea che ’a Giustizia vigente
l’é dove che ’i te manda torno torno, 
senza che te vegne a capo de gnente 

e infin te te guadagna befa e scorno
parché te trova ’a stessa grama zente 
– i avvocazzi bui –  dei cinema porno.

Dopo il taglio del nastro e i primi disagi segnalati nella nuova struttura, che d'estate diventava un forno senza le tende per le ampie vetrate, la sede distaccata del tribunale iniziò a funzionare senza più lamentele o segnalazioni, salvo quelle degli uscieri che restavano al freddo per tutto l'inverno. Ma col tempo anche su quel versante tutto sembrò normalizzarsi.

E tuttavia il simbolo dello spreco e della cattiva programmazione era lì; fintamente moderno; ridicolo.

I governi di Silvio, che avevano portato l'Italia sull'orlo del disastro economico, imposero la chiamata di Monti al governo e tra le prime cose da tagliare in un'ottica di razionalizzazione della spesa ci furono le dispendiose sedi distaccate.
Arrivarono le prime lettere di mobilità per il personale del palazzo di giustizia, chiamate tecnicamente "interpelli", inviate dalla Corte d'Appello di Venezia, con le quali si chiedeva la disponibilità del personale ed eventuali preferenze per il trasferimento in altra sede. Del resto Venezia aveva bisogno di personale...
La fibrillazione, cavalcata dall'amministrazione e da cronisti compiacenti, finì sui giornali con i toni del dramma.

Poi, come da programmazione, arrivò la chiusura. Il personale giudiziario, una ventina di persone tra impiegati, funzionari, cancellieri, magistrati, cominciò a chiedere una cosa del tutto insostenibile, ossia che venisse almeno rispettato il contratto di affitto del Comune, fino al 2018.
Alla Ape Srl di Padova (che nell'operazione aveva investito circa 6 milioni di euro ma alla quale un affitto annuale di 400.000 euro avrebbe ripagato in 15 anni l'investimento e prodotto per ogni nuovo anno di affitto un guadagno notevole) entrarono in fibrillazione. Fu facile pensare che dietro le proteste dei dipendenti relative alla scomodità del trasferimento a Venezia ci fosse soprattutto la ditta che aveva realizzato la struttura. E cercammo di non pensarlo. È osservazione peregrina osservare che parte dei soldi dell'affitto sarebbero poi stati rimborsati dal ministero della Giustizia? La domanda rimane in piedi:
perché far guadagnare così tanto un privato con i soldi dello Stato, cioè di tutti? Non staremo a osservare che c'è una parte politica (quella delle graziose Brunette e delle Sante-ma-in-che?) prontissima a criticare gli statali, tutti gli statali (dipendenti e fannulloni!), e a esaltare l'iniziativa privata a prescindere... per poi indurre o permettere che i medesimi privati possano stipulare con il medesimo Stato contratti favorevoli al privato e del tutto svantaggiosi per lo Stato, ossia per la collettività.

Si lessero sulla stampa locale gli articoli lacrimevoli di cronisti da carta assorbente che denunciarono l'atmosfera "pesante": «il recapito delle lettere ha dato il colpo di grazia dopo tante incertezze. Dall'usciere ai cancellieri, tutti sentono vacillare il posto di lavoro nella tranquilla zona di San Donà che quattro anni [prima] quando fu inaugurata la sede, sembrava diventata la cittadella della giustizia tanto attesa nel Basso Piave dopo i tempi della ex pretura in viale Libertà. San Donà aveva avuto un Tribunale degno di questo nome. Magari non molto grande, con qualche difetto a livello di funzionalità, ma lo aveva conquistato. Nessuno resterà in ogni caso senza impiego, ma certo, come minimo, i vari impiegati e funzionari dovranno partire per Venezia tutti i giorni».

In realtà la presenza di una sede staccata del tribunale a San Donà era sentita come necessaria e utile da una parte esigua, assai minoritaria della popolazione, quella che vive di cause e di tribunali, una parte che politicamente pesa e da sempre si schiera rumorosamente da una certa parte.

Il sindaco e presidente della Provincia, Francesca Zaccariotto, responsabile con la sua Amministrazione della scelta politica di far costruire il palazzo a privati e poi di affittarlo dai medesimi a cifre considerevoli, cercò di far sentire la sua voce: «La battaglia non è terminata», disse in occasione dei trasferimenti del personale in vista della chiusura, «potrebbe trattarsi di una ricognizione del personale. Intanto puntiamo a tenere qui la sede fino al 2018, anche perché c'è un contratto da rispettare, firmato dal Comune di San Donà di cui dobbiamo rispondere e che ha avuto il consenso del ministero. Noi non demordiamo, San Donà ha bisogno di questa sede e tutti dovrebbero esserne consapevoli.

Era vero, il contratto l'aveva firmato il Comune di San Donà, con quale vantaggio per la maggioranza della popolazione era sotto gli occhi di tutti.

L'amministrazione successiva denunciò pubblicamente e risolse il contratto di affitto: un Comune serio si impegna ad affittare un palazzone per l'uso per cui è stato costruito, non per tenerlo vuoto, destinando a un privato una buona parte delle poche risorse comunali.

Adesso il palazzone è là, vuoto, abbandonato, tentazione di sciocchi graffitari, monito e ricordo duraturo di vanagloria e discutibile amministrazione.

Tra tanta desolazione una è la consolazione: non si vedono più in giro per la zona certe inqualificabili "facce da tribunale".