Storia di San Donà
(anche) attraverso foto e cartoline

Il ciclone del 4 luglio 1965

Domenica 4 luglio 1965 successe il finimondo nel Nord Italia: una massa d'aria calda da sud e una d'aria fredda da nord si diedero la mano sopra i cieli della pianura padana, e si scatenò il finimondO: cominciò dalla Lombardia e si trascino fino al Veneto e al friuli; furono tornado a manetta e chicchi di grandine da 700 grammi di peso. Ci furono vittime, feriti, senza tetto - migliardi di danni.
La tromba d'aria (da tutti ricordata come il ciclone) si abbatté nel primo pomeriggio anche su San Donà e sui paesi vicini provocando notevoli danni.

Cominciò ad alzarsi il vento, erano da poco passate le tre, era una domenica, tutti erano andati a vespro e io ero rimasta a casa coi piccoli; prima sentii sbattere un belcon (gli scuri di legno alle finestre), guardai fuori, il vento arrivava dal Garda, il cielo era del colore del petrolio quando galleggia sull’acqua (non avrei mai più visto il cielo di quel colore); "devo chiudere i belconi" mi dico, per primi chiudo quelli al piano terra, salgo le scale (erano ancora interne, le avremmo costruite all'esterno dopo qualche mese), vado a chiudere per primi i belconi del bagno (la cui porta allora, appena salite le scale, era proprio di fronte), chiudo anche i belconi del graner, arrivo in camera di tua nonna (a sinistra) per chiudere i belconi, e li vedo già chiusi (invece era il vento che li aveva chiusi); tuo fratello e tua sorella - che allora avevano tre anni e un anno e mezzo, dormivano in camera mia (quella sulla destra appena saliti dalle scale interne); chiusi i belconi della mia camera, presi in braccio i bambini e li portai giù per le scale, il rumore era tremendo, sentivo ancora i rumori di belconi che sbattevano, non sapevo dove andare a ripararmi e andai a ripararmi sotto le scale (di legno) e là rimasi rannicchiata con loro aspettando che passasse l’inferno. Diciassette minuti durò l’inferno, me lo ricordo benissimo, diciassette minuti durò l'inferno e sentivo sbaterre colpi tremendi, di quei colpi, ma di quei colpi... non avevo fatto in tempo a chiudere il portone del garage, era un portone abbastanza grande, che sbatteva con dei colpi fortissimi; e sentivo i colpi dei belconi della camera di tua nonna, quelli che mi erano parsi chiusi, e non lo erano... Le finestre della camera di tua nonna andarono in frantumi e anche i telerini si ruppero tutti, e in seguito la lingualunga di tua zia mi avrebbe perfino accusato di non aver neanche chiuso i belconi della camera di tua nonna.
Il ciclone danneggiò pesantemente il tetto di casa, facendo volare tanti coppi. Quelli che erano a vespro, finito il ciclone, tornarono a casa e trovarono il desìo per le strade. Tutti subirono danni... L’orto era completamente distrutto.

A San Donà i guasti più appariscenti furono l'abbattimento delle attrezzature del ponte radio della SIP, in viale della Libertà; la completa distruzione del capannone della Lafert in via Kennedy e la distruzione della grande croce (alta 25 metri) della cappella cimiteriale.



Sopra: il traliccio del ponte radio della SIP;
sotto: Don Nicola con i ragazzi nel campo dell'Oratorio dopo il ciclone.

Ricordo che andarono distrutte le persiane delle scuole medie di San Donà [l’Ippolito Nievo].
Nei giorni seguenti, venuto il momento di fare riparazioni, non c’erano muratori che facessero lavori, erano tutti impegnati a riparare tutte le case dei dintorni e noi fummo costretti a rivolgerci a tre muratori che abitavano più distante. Fui io che li trovai. L’errore che fece tuo padre, al momento delle riparazioni, siccome il ciclone aveva fatto volare i coppi, fu di far tagliare lo sporto rovinato del tetto - il cornicione - quasi a filo con la casa, e da quella volta in casa sarebbe entrata sempre tanta umidità.

In fieri

Clicca QUI per il resoconto del dibattito alla Camera dei Deputati relativo al ciclone di venerdì 9 luglio.