Il conte Gino Gradenigo (189..-1961)

Nobili si nasce, e lui, modestamete, lo nacque

Il conte Gino era famoso per apprezzare il vino oltremisura. Spesso entrava in un bar e offriva da bere a tutti (non di rado dimenticando poi di pagare). Uno dei luoghi dove amava andare la sera, un locale affollato dalla bella gente di San Donà, era il Bar Borsa, che allora aveva sede sotto i portici della Cassa di Risparmio.
Il monumento a Giannino Ancillotto era circondato da pitosfori e qualche palma; lì si nascondeva un burlone di San Donà, el Zotto Candoéta, che da sotto i pitosfori urlava al conte seduto al Bar Borsa: “Gradenigoooo! Gradenigooo”. “Chi sei?” chiedeva l’impaurito conte Gino, uscendo in strada. “Sono lo spirito di Keller!” (l’aiutante di D’Annunzio, che volò a Roma sopra il Parlamento gettando escrementi sui palazzi delle istituzioni, e che fu fondatore di un giornale). Gradenigo aveva conosciuto Keller avendo entrambi partecipato all’impresa di D’Annunzio a Fiume. Keller era morto nel 1929. “Cosa vuoi?” chiedeva il conte, forse credendo di avere davvero a che fare con lo spirito inqieto di Keller. E Candoeta-Keller: “Fai tre giri intorno al monumentoooo”, e pare che il conte, preso dal terrore, i giri li facesse davvero.
Tra gli episodi balzani della sua vita si ricorda un suo assalto a una villa sul Terraglio, con degli amici, lui vestito da Doge: armati di spada, distrussero addirittura un dipinto della scuola del Tiepolo. Arrivato a Treviso in maschera (in un’epoca in cui era vietato mascherarsi il volto), un po’ ubriaco e un po’ invasato, cominciò con la sua spada a fare mulinelli in aria, tanto che le guardie non avevano il coraggio di avvicinarsi e fu catturato con una rete calata dall’alto del Palazzo dei Trecento.
Alla fine fu interdetto per un altro episodio sopra le righe: un giorno calcò a forza il cappello in testa a un pubblico ufficiale. Era accaduto che andando lui a teatro tutti gli dicevano “Buonasera, signor Conte”, e che quel Commissario pubblico lo avesse invece bellamente ignorato; e lui, il conte, offeso, per insegnargli l’educazione gli calcò il cappello sulla testa fino a sfondare la tesa e a farglielo arrivare attorno al collo.