
Giovanni Ancillotto, poi chiamato Giannino, nacque il 15 novembre 1897 a San Donà di Piave
da Corinna e Giovanni, in una famiglia di possidenti, pionieri delle bonifiche nel Basso Piave.
Una famiglia numerosa, quella di Giannino, cinque sorelle e due fratelli. Il nonno, intorno al 1850, aveva sviluppato una rete
di irrigazione nella zona del Basso Piave, mentre cinquant’anni dopo il padre Giovanni realizza il grandioso
piano di bonifica della Destra Piave.
Primo in Italia, il padre si impegna nella estrazione del gas metano e ne valorizza l’avvenire industriale.
Nella sua perenne e curiosa ingegnosità giunge persino a sperimentare il lancio di razzi e cannoni anti-grandine.
Giannino manifestò fin da giovanissimo un estremo interesse per i motori di tutti i tipi,
ma in particolare fu folgorato dalla passione per gli aerei, le cui possibilità di sviluppo,
sia in campo civile che militare si stavano palesando sempre di più.
Il 1909 è l’anno del primo Circuito Aviatorio di Brescia, mentre nel 1910 si tiene il circuito aviatorio di Milano.
Le notizie si susseguono, suscitano la fantasia di Giannino e un incontenibile desiderio di volare.
Ogni volta che un velivolo militare sorvola la pianura veneta, Giannino lo insegue con lo sguardo
fin oltre l’orizzonte. E quando Mario Cobianchi, con a bordo Gabriele D’Annunzio, gira in volo intorno
alla torre di Pisa, l’ansia diviene determinazione ad essere parte di quel nucleo di temerari.
Nel 1912, in Libia, l’aereo è utilizzato per la prima volta in un conflitto. Giannino, che nel frattempo
si è iscritto al Liceo Foscarini di Venezia, intuisce che l’aviazione militare
può offrigli l’occasione per concretizzare i suoi sogni di adolescente.
Nel 1914 presenta, con il consenso dei genitori, domanda di arruolamento come volontario nella specialità
più affascinante dell'esercito: l'aviazione.
All’epoca l’Italia non è ancora entrata in guerra: è legata alla Triplice Alleanza,
ma ha proclamato lo stato di non belligeranza.
Quando anche per l'Italia scoppia la guerra Giannino ha 18 anni, studia all’Istituto Tecnico di Torino.
Si arruola volontario nell’aviazione il 4 novembre 1915 e segue per un mese il corso d’istruzioni militari
al campo di Mirafiori; passa poi alla Scuola d’Aviazione di Cameri, dove comincia il corso di pilotaggio.
Cameri, uno sperduto paesino in provincia di Novara, a quei tempi è considerata
una vera e propria università del volo e sfornò buona parte di quei piloti
le cui gesta avrebbero contribuito a coniare l’appellativo di “Assi dell’Aria”. L’aviazione
militare era agli albori, e battagliare nei cieli al comando di un mezzo aereo
era considerata un’attività cavalleresca, le cui regole d’ingaggio prevedevano
come obiettivo principale l’abbattimento del velivolo nemico, ma ove fosse possibile
il rispetto della vita dell’avversario. Giannino Ancillotto, di buona famiglia
e buone maniere, senza problemi economici, ma con una grande capacità nell’addomesticare
gli aerei alle sue parabole perfette fu un predestinato, con un futuro da eroe
già impresso alla nascita, e la cui breve vita è riportata a noi da numerose pubblicazioni
dell’epoca, che seppur con un linguaggio intriso dalla retorica di quei tempi
ne raccontano la vita e le imprese.
Nel Marzo del 1916 Ancillotto ottiene il primo brevetto. Vuole presto sostenere le prove del secondo brevetto,
prove che ultima il 30 aprile dello stesso anno.
Il suo arrivo in squadriglia viene salutato con manifestazioni d’affetto, perché dai Campi-Scuola è giunta
al fronte la voce del suo ardimento e delle sue brillanti qualità. E Giannino mostra subito di essere un pilota specializzato
per apparecchi da ricognizione e da bombardamento.
Promosso caporale, merita un encomio solenne, perché a Vippacco, il 20 maggio 1916,
in una ricognizione aerea, eseguita a bassissima quota per le avverse condizioni di visibilità,
continuò ad assolvere il suo compito, contribuendo alla riuscita dell’operazione...
Nominato aspirante ufficiale, coglie ogni occasione per conseguire scopi audacissimi. Per il suo ardimento dimostrato
nel Trentino dal 23 giugno al 21 luglio 1916, e nel medio Isonzo dal 24 luglio 1916 al 28 marzo 1917,
gli viene decretata la medaglia d’argento.
Durante le infauste giornate di Caporetto è tra i piloti che colpirono il nemico incessantemente
aleggiando a bassissima quota, senza requie, senza pietà, senza perdono;
che aggredirono in qualunque condizione di tempo, luogo e circostanza i velivoli nemici, ostacolando ovunque
il rapido svolgersi della grave offensiva.
E per la sua opera compiuta in quelle giornate, guadagnò la seconda medaglia d'argento.
E poi venne l'impresa di Rustignè, per la quale, nel dicembre del 1917, gli fu decretata la medaglia d'oro
con la seguente motivazione:
Pilota da caccia d’ammirevole slancio, dal 30 novembre al 5 dicembre 1917,
in una serie d’attacchi audacissimi incendiava tre palloni nemici e ne costringeva altri a cessare dalle loro osservazioni.
In una speciale circostanza assaliva l'avversario con tale impeto da attraversare l'areostato in fiamme,
riportando sul proprio velivolo gravemente danneggiato lembi dell'involucro lacerato.
Ripercorriamola in dettaglio, l'impresa che gli avrebbe dato gloria imperitura.
I tedeschi, giunti sulla sponda sinistra del Piave, in una corsa precipitosa, dopo le giornate di Caporetto,
aveva subito capito che quelle rive erano insormontabili, e che su quel fiume si sarebbe
decisa la storia della grande guerra, come pure si sarebbe giocata l'ultima carta della grandezza
o della rovina di un impero. E avevano lavorato incessantemente per fortificare le posizioni acquistate
a buon prezzo [...]
La vigilanza continua dei nostri soldati e la continua protezione delle acque travolgenti del Piave impedivano
ogni impresa[...], ma contemporaneamente i tedeschi avevano escogitato un mezzo per ostacolare
tutte le nostre difese, per impedire tutti i nostri movimenti. E poiché di giorno non sarebbe stato possibile
né spingere le pattuglie, né seguire dagli osservatori terrestri la vita sul fronte italiano, il nemico ricorse ai
draken, perché, innalzandosi alle prime luci dell'alba, cercassero bersagli e notizie.
Fra i draken, tozzi e mostruosi osservatori aerei che dondolavano minacciosi nel cielo Veneto,
acquistò in breve tempo fama il pallone austriaco che quasi giornalmente si levava a sud di Oderzo, presso Rustignè,
per vigilare ogni nostra attività fra Sette Casoni e Zenson di Piave, fin oltre San Biagio di Callalta.
Manovrato magistralmente, quel mostro scompariva non appena il fuoco dei nostri pezzi veniva aggiustato,
o quando l'approssimarsi di cacciatori italiani rendeva pericolosa la permanenza in aria.
Così, sfuggendo tempestivamente ad ogni insidia, fedelmente serviva le proprie batterie, e quando, ballonzolando
sul robusto cavo che lo tratteneva a terra, si profilava sullo sfondo del cielo sempre bello e sempre limpido,
le artiglierie austriache rovesciavano colpi su colpi. Quel draken infallibile, terribile, che dirigeva i grossi proiettili
con precisione ed efficacia, divenne un incubo: tale era la potenza del suo intervento e la rapidità
con la quale ritrovava e indicava ai ciechi artiglieri il giusto bersaglio. Il “drago” di Rustignè lo chiamarono infatti i fanti,
gli artiglieri e gli aviatori, perché appariva e scompariva sul Piave paurosamente, quasi fosse comandato da maghi e non da umani.
La mattina del 5 dicembre il drago ripeté la sua apparizione, poi scomparve: qualche istante dopo un rovinio di colpi
cadde sui nostri fanti. I nostri aviatori piombarono su Rustignè; ma il drago rimase nascosto fino a quando il cielo
non fu libero dalle nostre ali.
Per abbattere i drachen non bastavano i proiettili delle mitragliatrici con i quali abitualmente
si centravano le fusoliere degli aerei nemici; essi erano dei draghi e solo con il fuoco potevano essere distrutti,
pertanto era necessario posizionare sulle ali dell’apparecchio dei tubi di lancio con all’interno dei razzi incendiari.
Così era addobbato il logoro “Nieuport” di Giannino Ancillotto quando si levò in cielo scortato da tre caccia italiani
che dovevano proteggerlo nell’impresa. Mentre erano in fase di avvicinamento al drago di Rustigné che volteggiava
a 400 m d’altezza, videro che a protezione dello stesso erano giunti tre veloci e moderni caccia austriaci
per cui attaccare dall’alto sarebbe stato impossibile. Giannino allora scelse la tattica che gli era usuale
pur se assai rischiosa: assieme ai suoi tre angeli custodi s’abbassò di quota e puntò decisamente verso il drago
i cui manovratori da terra avevano iniziato le operazioni per farlo ridiscendere. Mentre i sei caccia d’opposta
fazione iniziarono a duellare fra di loro, egli s’avvicinò sempre di più al mostro, che sgonfiandosi
per ridiscendere al suolo assunse sembianze sempre più contorte, ma volendo Nane (Giannino) esser sicuro di centrarlo,
solamente quando si trovò a 20 m da esso lasciò partire i razzi che lo incendiarono, trasformandolo in una palla
di fuoco entro la quale scomparve anche l’impavido pilota. Mentre i due osservatori austriaci precipitavano
al suolo assieme ai resti fumanti del drago, il bagliore dell’incendio attirò l’attenzione dei caccia,
che sospesero il loro duello giusto in tempo per vedere la carcassa dell’aereo di Giannino riemergere da quell’inferno
perdendo però quota sempre più rapidamente. Per un attimo lo schianto sembrò inevitabile, ma la sorte,
generosa con gli audaci, nonostante i danni al velivolo e le ustioni riportate diede al pilota italiano
la forza di risollevare l’aereo e riprendere quota. Vistolo in palese difficoltà uno dei caccia austriaci
tentò di attaccarlo, ma Giannino, che nel frattempo aveva recuperata l’inerzia del volo, puntò il muso anche
contro di lui, procurando dall’avversario un attimo di esitazione di fronte a tanto coraggio…
Giusto il tempo che permise all’asso dell’aviazione di recuperare la rotta e virare velocemente verso il campo base,
prontamente raggiunto e protetto dalla sua scorta aerea. Durante il rientro sorvolò le postazioni
dei fanti attestate lungo l’argine del Piave, i quali vedendo il Nieuport di Giannino Ancillotto
trascinare nel suo volo dei lunghi lembi di stoffa ancora fiammeggiante che erano stati parte dell’involucro
del drago di Rustigné, capirono che il mostro non sarebbe più stato in grado di nuocere.
Da ricostruzioni storiche più approfondite par di capire che il drachen causa di tanti bombardamenti mirati che martoriarono
i fanti italiani durante il mese di novembre 1917, fu quello che Giannino Ancillotto abbattè il 30 novembre dello stesso anno
a Levada di Ponte di Piave, e che a seguito di tale abbattimento,
gli austriaci decisero di sostituire
spostandone però la posizione di pochi km proprio a Rustigné, ove però ebbe vita breve
come abbiamo appena raccontato.
PS: recentemente durante dei lavori di ampliamento della statale Postumia, in località Rustigné
è stato scoperto un bunker austriaco risalente alla Prima Guerra Mondiale, che “potrebbe” essere stato costruito
proprio per dare copertura ai manovratori da terra del draken abbattuto da Giannino Ancillotto.
All’impresa fu dedicata anche la prima pagina de “La Domenica del Corriere”, suscitando
l’ammirazione generale.
Dell'impresa esistono versioni contrastanti. Nella biografia che il giornalista Guido Mattioli dedicò ad Ancillotto
nel 1934, decennale della morte dell'eroe, così viene descritto l'evento, come se a parlare fosse
lo stesso Giannino:
È la morte – pensai - spensi il motore, chiusi gli occhi, ed attesi. Un attimo appena,
e poi un urto ed uno schianto, una vampata sul viso, ancora una resistenza infranta e poi la sensazione spaventosa
del vuoto. Riaprii gli occhi, ero a poche decine di metri da terra. Riaccesi il motore, rispondeva. Provai i comandi,
funzionavano. Non mi restava che cabrare quanto più possibile.
Ma in seguito la sorella Elvira avrebbe smentito tale versione:
Queste non sono parole di Giannino, di mio fratello, ma solo la buona volontà dell’autore.
Elvira rettificò anche la versione che Mattioli diede del rientro alla base.
(Mattioli) L’intervento del compagno e dei cacciatori amici dà la possibilità a questo eroe
da leggenda di dirigersi verso casa con l’apparecchio ridotto ad una velocità minima.
(Elvira) Giannino si difese da solo contro il caccia nemico, benché avesse
un’ala spezzata e il motore mezzo sconquassato.
Dopo quest’impresa Giannino Ancillotto si specializzò negli assalti notturni, compiendo altre eroiche missioni, con l'assegnazione
di una terza medaglia d'argento.
Diede in quegli ultimi mesi di guerra prova di grande pietà nei confronti degli avversari dell'aria. Due aviatori di un bombardiere da lui abbattuto
erano ricoverati a Treviso. Giannino andò a visitarli e apprese che avrebbero voluto che le loro famiglie
fossero informate che erano vivi. Lui accettò l’incarico e preparò un messaggio.
Giunto con l’aereo sopra un campo d’aviazione austriaco, per evitare il tiro della contraerea simulò
d’essere stato colpito e si lasciò cadere in volo planato. Il fuoco nemico cessò, ma a pochi metri
dal suolo Giannino raddrizzò l’aereo, lanciò un involucro contenente il messaggio e si dileguò.
Nell’elenco delle vittorie conseguite da Giannino Ancillotto nell’ultimo anno di guerra, oltre ai tre drachen risultano
anche l’abbattimento di un apparecchio nemico il 3 novembre 1917 a Rovarè, altri due il 24 luglio 1918 rispettivamente
a Sant’Elena di Treviso e a Trepalade di Venezia, un altro il 21 agosto 1918 a Ponte di Piave ed un altro
ancora il 27 ottobre 1918 a San Fior di Treviso. Durante la sua pur breve carriera Giannino Ancillotto
ebbe modo di collezionare le seguenti onoreficenze: 1 Medaglia d’Oro al Valor Militare, 3 Medaglie d’Argento al Valor Militare,
1 Croce al Merito di Guerra, il titolo di Commendatore della Corona d’Italia per Meriti di Guerra,
1 Croce della 3ª Armata, 1 Medaglia dell’Ordine della Corona del Belgio, 1 Medaglia della Marcia di Ronchi,
1 Medaglia commemorativa della guerra italo-austriaca 1915-1918,
1 Medaglia a ricordo dell’Unità d’Italia 1848-1918 e 1 medaglia di benemerenza per i volontari
della Guerra Italo-austriaca 1915-1918.
Terminata la guerra con 11 abbattimenti e con la qualifica di “ASSO”, tornato a casa, si distinse in diverse imprese
aviatorie. Volò per primo da Roma a Trieste.
Fece parte del raid che nel 1919 da Roma portò, per conto del nostro governo,
un messaggio a Varsavia: doveva far conoscere l’industria aeronautica italiana.
Al riguardo, nella biografia già citata, il giornalista Mattioli riporta che
la sorella Elvira dichiarò:
Giannino vi andò perché scelto dal governo per un incarico delicatissimo. Doveva portare
alla Polonia un messaggio del governo italiano. Forse un messaggio segreto di pace.
Il 12 dicembre 1919 D’Annunzio partì da Ronchi con i suoi legionari per occupare Fiume. E quando Ancillotto lo seppe
il suo raid divenne Roma–Varsavia–Fiume.
Non si sa bene perché ci andò; forse attirato dalla figura e dalla fama di D'Annunzio, forse dall'idea di contribuire a far diventare
Fiume italiana. Si narra che il 22 dicembre 1919, D’Annunzio gli impartì un incarico segreto; ma non si seppe mai
di cosa si trattasse.
L'esperienza di Fiume stava diventando una scandalo internazionale. In un proclama sottoscritto
nel dicembre del 1919 da Giannino Ancillotto e da altre quattro medaglie
i cinque eroi dichiararono che se la popolazione avesse respinto le proposte del governo italiano, essi sarebbero rimasti
a garantire la libertà di Fiume e dei suoi abitanti. Forse anche Ancillotto si era spinto troppo in là.
Nel frattempo l'esperienza fiumana aveva preso connotati diversi, era diventato il regno da operetta di D'Annunzio, e
Giannino se ne venne via prima che il governo mettesse fine con le cannonnate agli eccessi dei legionari.
Tornato in Italia, la sua posizione in famiglia si era fatta incerta;
i geniotri, dopo il primo piacere di rivederlo sano e
salvo, cominciarono a mettersi in sospetto verso di lui che usciva da una città considerata la più diabolica del mondo.
Guido Mattioli, nella biografia già citata, lascia trasparire una seconda ragione per il suo comportamento defilato:
Tutti volevano Giannino candidato politico ed egli si schermiva. Volevano affidargli cariche pubbliche
ed egli ricusava perché preferiva un periodo di riflessione per maturare lo spirito negli insegnamenti
ricevuti dalla guerra e dalla propria precoce e tumultuosa esperienza.
Giovane e irrequieto, Ancillotto non seppe starseno fermo a casa.
Nemmeno la campagna veneziana, la sua casa, gli affetti familiari sulle sponde del Piave
furono capaci di parlare al cuore di Giannino e a trattenerlo. Girovagò il mondo come Ulisse, cercando invano la sua Itaca;
la cercò nelle sfide ai cieli europei, percorsi assieme ad altri coraggiosi e unendo le capitali più lontane
del nostro continente. Infine, il volo verso le terre dell’America del Sud. (da un racconto di Giorgio Baldo)
Nei cieli del Perù, sorvolò, primo al mondo, le alte vette delle Ande peruviane.
A tale impresa dedicò una memorabile tavola il noto incisore Achille Beltrame,
che illustrava le copertine della Domenica del Corriere.
Vide le cime dei picchi più alti, sentì i venti e le tempeste. A settemila metri d’altezza
scoprì i condor più solitari delle aquile. Entrò nella leggenda tra gli indios degli altopiani, simile agli dei solari e crudeli dei loro antenati
Poi sentì il richiamò dell’Africa; ne amò le immense distese, il paesaggio di fiumi, deserti e giungle dove nacque
la nostra specie. Come Livingstone, andò alla ricerca delle foci del Nilo; in Somalia cacciò gli elefanti, i leoni, gli zebù. Le enormi mandrie di zebre e antilopi non avevano mai visto un’ombra così terrificante proiettarsi sulla loro corsa nelle savane.
Ogni tanto ritornava in Italia; visitava la famiglia, gli amici di guerra, passava del tempo alla Fabbrica di aerei Caproni. Ma non trovava pace in nessun luogo.
Sono ancora giovane - andava dicendo - da vecchio farò il bonificatore e scriverò un libro.
Era come Ulisse, cercava la conoscenza di se stesso e del mondo. (Giorgio Baldo)
Nel 1923 Gabriele D'Annunzio, che aveva conosciuto Giannino Ancillotto sui territori di guerra, scrisse una dedica
all'ala incombustibile.
Morì il 18 ottobre 1924 in un incidente automobilistico a Caravaggio, mentre si recava a un raduno di medaglie
d'oro. Grande fu la commozione per la sua morte, tantissimi i partecipanti al funerale.
Fu sepolto nel cimitero di San Donà.
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Pochi anni dopo la morte di Giannino Ancillotto, con i fondi ricavati da una sottoscrizione nazionale
(alla quale contribuì il governo peruviano con 30.000 lire su un costo totale di 52.000),
fu innalzato un monumento alla sua memoria a San Donà di Piave.
L'opera, progettata dall'architetto Pietro Lombardi,
fu inaugurata il 15 novembre 1931 alla presenza del ministro dell'aviazione Italo Balbo
e del segretario del Partito Nazionale Fascista Giovanni Giuriati.
Monumento singolare per composizione e struttura, evoca la sagoma di un aereo, immagine percepibile
con chiarezza solo attraverso una visione zenitale.
La grande scultura fu posta al centro della piazza. Frontalmente appaiono le due ali dell'aereo,
caratterizzate da robuste fiamme e profili di aquile ad altorilievo, con andamento simmetrico e convergente.
Al centro è posta una colonna in granito, che funge da asse di simmetria, proveniente dall'antiquarium di Roma
e dono del governatore Boncompagni Ludovisi. L'opera è completata da due rilievi in bronzo che raffigurano
rispettivamente un ritratto di giannino ancillotto e l'impresa dell'abbattimento del drachen di Rustignè
(da cui il motto dannunziano "perficitur igne": è reso perfetto dal fuoco).
Due corone di bronzo completano la decorazione del monumento.
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Ad Ancillotto fu dedicato inizialmente l'aeroporto di Treviso (attualmente intitolato ad Antonio Canova),
inaugurato il giorno 21 settembre 1938 da Benito Mussolini. Gli sono state intitolate vie in diverse città italiane,
tra cui Roma, Mestre, Marcon e la sua città natale.
Il portale web dell'Aeronautica Militare ha proposto una pagina, intitolata "I grandi aviatori",
dove vengono citate le maggiori personalità storiche dell'aviazione italiana, ponendo Ancillotto tra di esse.