Parco della scultura in architettura

Il Parco della Scultura in Architettura è un parco della città di San Donà di Piave noto a livello internazionale a studiosi e appassionati di arte e architettura. Voluto e finanziato dal mecenate Adalberto Mestre, esso accoglie installazioni e sculture di artisti, architetti e designers, tra i quali Bruno Munari, Aldo Rossi, Toni Follina, Alessandro Mendini, Riccardo Dalisi, Gabriele Basilico, Sol LeWitt, Riccardo Licata, Mauro Staccioli, Alberto Campo Baeza, Marco Ferreri, Davide Mosconi, Ettore Sottsass, AG Fronzoni ed Emilio Tadini.

Il Parco è liberamente visitabile tutto l'anno e nel periodo estivo ospita manifestazioni ed eventi culturali (readings letterari, cineforum, festival di musica acustica).

Così Adalberto Mestre racconta la nascita del Parco:
«Nel 1990 ci trasferimmo nella sede progettata da Toni Follina. Una sede comoda con un grande ufficio che guardava un verde pubblico di lottizzazione: questo spazio di circa 8.000 metri quadrati era tutt'altro che verde, non c'era l'erba e nemmeno un albero, anzi da qualche tempo delle imprese di costruzioni scaricavano di notte delle macerie risultanti da demolizioni.
In quel periodo, vedendo dal mio ufficio quello spazio grigio e triste, mi venne un'idea, originata forse dalla mia passione per l'arte e l'architettura. Perché non trasformare questo luogo in un parco di scultura, piantando l'erba, gli alberi e installando delle opere d'arte?
Questo parco aperto al pubblico e senza recinzioni poteva essere adoperato dalla cittadinanza e ciò permetteva di mettere a contatto quanto più possibile le persone con l'arte contemporanea.
Da allora sono, partito per una lunga avventura che tuttora continua.
In definitiva era una cosa "Semplice". Bastava dare un nome al parco. Avere l'autorizzazione comunale. Trovare un architetto che eseguisse il progetto paesistico dell'area e contattare degli artisti per le opere. Il nome: Parco della Scultura in Architettura: perché le opere non dovevano essere commemorative, ma avere uno stretto dialogo con l'architettura. L'autorizzazione comunale: era la cosa che a me sembrava più semplice, è stata quella più difficile, arrivando dopo circa diciotto mesi dalla richiesta. L'architetto: Toni Follina; Toni aveva già progettato la nuova sede e ci legava una profonda amicizia fin da ragazzi: eravamo stati per anni compagni di banco a Treviso, alle superiori.»

In pianta il parco ricorda un albero stilizzato: un albero fatto di alberi. Nell'intenzione del progettista alla rastrematura del tronco e dell'unico ramo avrebbe dovuto corrispondere anche un digradare dell'altezza degli alberi in modo che l'effetto prospettico da un lato e antiprospettico dall'altro risultasse ancora più accentuato; ma la difficoltà tecnica dell'operazione (che avrebbe richiesto una contina potatura degli alberi "a scalare") portò alla rinuncia della sua realizzazione.

Il tronco principale punta dritto verso l'ingresso all'edificio progettato dall'architetto portoghese Alvaro Siza, il cui completamento fu però interrotto.

L'unico ramo punta dritto verso la galleria centrale dell'edificio di Follina: all'estremità del ramo è posto il "Passaggio a Nord-Ovest?" di Bruno Munari (scultura 2), che vediamo qui sotto fotografato dall'altra parte: questa "porta" costituisce l'ingresso al Parco da est.


Appena fuori della porta (a sinistra)... e appena oltre la porta (a destra)

L'accesso al parco dalla strada comunale e dal grande parcheggio (cioè da sud) è invece segnato e simboleggiato dalla "Porta dei fiori" di Alberto Campo Baeza (scultura/architettura 4).

Anno dopo anno, il Parco si arricchì di opere d'arte di artisti di fama mondiale. Ogni inaugurazione era una kermesse: Adalberto, splendido padrone, faceva gli onori di casa. Appassionati d'arte ed esperti convenivano da tutta la provincia - molti anche da fuori e alcuni da lontano - per participare alla conferenza che anticipava e spiegava l'opera che di lì a poco sarebbe stata svelata e inaugurata, pronti a dare un giudizio positivo o a storcere il naso; perché - si sa - si tratta di opere di arte moderna, possono piacere o non piacere (alcune sono delle vere farloccate, NdG) ma l'insieme conquista e costringe a riflettere.
Con l'andar del tempo, o per mancanza di spazi adeguati per altre opere di dimensione imponente o perché erano diminuite le possibilità finanziarie del mecenate, le opere furono affidate ad "artisti" meno importanti e risultarono di scala minore, senz'altro più banali.

Opere

Bruno Munari, Una scultura per gioco, 1992, acciaio Corten con basamento in calcestruzzo; cm 180x800x660.

Così Adalberto Mestre racconta la nascita di questa prima opera:
«Il primo artista fu Bruno Munari. Non l'avevo mai conosciuto personalmente, ma avevo letto moltissimi suoi libri. Il primo Incontro avvenuto nel suo studio di Milano negli ultimi giorni dell'ottobre del 1991 è stato una folgorazione per me e l'inizio di una collaborazione durata fino alla sua morte, nel settembre del 1998.
Piccolo di statura, i capelli bianchi, gli occhi vivacissimi; allora aveva ottantaquattro anni e un'energia eccezionale. La stretta di mano era forte ed emanava gioia di vivere. Fu felice di ideare una scultura per il parco ma dispiaciuto di farmi aspettare i bozzetti fino alla primavera successiva, per precedenti impegni di lavoro.
Nei primi giorni di gennaio ricevetti una sua telefonata: "Signor Mestre la chiamo per due cose, una brutta per me ed una bella per Lei: la brutta è che sono scivolato su una lastra di ghiaccio ed ho dovuto fare riposo assoluto; la bella è che dovendo rimanere a casa ho preparato i bozzetti per la scultura"; nel 1992 venne così realizzata la prima opera di Munari, destinata soprattutto ai bambini: "Una scultura per gioco".

E così la spiega Bruno Munari:
«Tutti sanno che ci sono le sculture celebrative che si mettono nelle piazze per ricordare un personaggio famoso: - Chi è? - Ma non vedi che è Giuseppe Verdi? - Queste sculture cambiano un poco quando la neve le deforma o quando la pioggia le lucida o quando i piccioni le abitano. Pochi sanno che ci sono anche delle “sculture” (se ancora si possono definire così) che non sono celebrative, che sono soltanto piacevoli da vedere (come un fiore) che giocano col vento, si divertono con la pioggia, si trasformano con la neve. Insomma non rappresentano niente ma solo un oggetto che vive nell’ambiente, con le piante il vento la natura. Questa costruzione è ideata in modo che la gente e i bambini possano sedersi sulla sua base, che i bambini possano giocare con le sue parti, osservare l’elemento girevole al vento, inventare dei giochi apposta per questo grande oggetto. Se si rovina o si sporca, il gioco finisce subito.» (Bruno Munari)



Bruno Munari, Passaggio a nord-ovest?, 1995, acciaio smaltato; altezza cm 300.

Adalberto Mestre: «Munari progettò nuove sculture: nel 1995 fu collocata nel parco "Passaggio a Nord Ovest?", una "scultura attraversabile" , ideale punto di confine tra la dimensione esterna e la dimensione "altra" del Parco.

Bruno Munari: «Un passaggio che prima non c'era. Un passaggio che non ha funzione pratica, ma una importante funzione psicologica. Passa solo una persona alla volta. Passa da una realtà quotidiana a una realtà fantastica, dove la logica non ha senso. Per la prima volta si attraversa un'opera d'arte. Dall'altra parte si trova una natura in parte inventata. C'è un viale di alberi disposto con la prospettiva capovolta. Non c'è il lupo. In questa zona si può fantasticare, c'è qualcosa di diverso. Si può essere stimolati a fare progetti artistici dentro di sé. L'arte appare quando uno non sa quello che fa.»


Nel luglio 2017 la boscaglia ha invaso il vialetto di accesso alla porta



Alessandro Mendini, Monumentino triplo, 1994, acciaio smaltato, basamento diametro cm 1,30; altezza m 11.

Così Adalberto Mestro racconta la nascita di questa scultura:
«Nel tempo che intercorse tra l'installazione della prima e della seconda opera di Munari contattai Alessandro Mendini, che mi propose il suo "Monumentino triplo": tre alberi stilizzati in acciaio smaltato policromo, alti undici metri, collocati in fila; Mendini volle che i tre elementi fossero uguali in tutto, tranne per uno dei motivi dell'estremità superiore; l'idea dei "multipli diversi" mi piacque molto; furono realizzati nel 1994.»



Alberto Campo Baeza, La porta dei fiori, 1997, calcestruzzo dipinto di bianco e gelsomini; cm 600x600x600.

Così Adalberto Mestre racconta la nascita di quest'opera:
Nel 1997 fu costruita l'opera di Alberto Campo Baeza, un architetto spagnolo. Avevo visto pubblicato su A+U un suo lavoro: una piccola casa unifamiliare, candida; uno spazio essenziale animato dalla luce. Rimasi colpito da quella particolare atmosfera: cercai al più presto l'architetto per la progettazione della porta del Parco; per molte volte, non lo trovai: quasi rassegnato, affidai la mia richiesta alle pagine di una lettera. Due settimane dopo arrivò da Madrid una busta marrone: una lettera, un progetto, i disegni preliminari. La "Porta dei Fiori": due ali di calcestruzzo, dipinto bianco alte sei metri, su una di queste pareti un foro; la porta doveva essere ricoperta da un "milione di milioni dei fiori bianchissimi". Mi emozionai moltissimo, telefonai subito a Madrid: per la prima volta parlavo con Alberto.



Toni Follina, Varco, 1999, acciaio e legno; diametro cm 600, altezza cm 400.



Riccardo Dalisi, L'uomo e il suo Angelo, 2000, acciaio Corten, ottone e rame; figura uomo cm 200x300x90, figura angelo cm 240x160x140.



Aldo Rossi, La Casa Abbandonata, 2001, mattoni a faccia vista e legno; cm 550x1000x780.

Così Adalberto Mestre racconta la nascita di quest'opera:
Nel 1996 conobbi Francesco Dal Co e gli affidai la direzione artistica del Parco. Francesco mi mise in contatto con Aldo Rossi. L'architetto mi disse che avrebbe progettato un'opera della memoria legata alla sua gioventù: da poco laureato ebbe l'incarico dalla provincia di Rovigo di eseguire perizie dei danni prodotte dalla grande alluvione del Po; ritirate le acque apparve una casa rurale in mattoni a facciavista con il tetto a due falde, quasi completamente distrutta.
Aldo Rossi aveva sognato questa casa molte volte e a distanza di anni. La sua scultura vicino al fiume e tra i pioppi doveva essere il ricordo di quella casa lontana nel tempo.

NdG: tra i ricordi di Aldo Rossi vi era una giacca rimasta appesa a un chiodo all'interno della casa abbandonata; quando ci fu l'inaugurazione dell'opera Adalberto Mestre appese la propria giacca a un chiodo appositamente posizionato per il completamento dell'operazione-memoria.


Le tre foto qui sopra risalgono al luglio 2017. Idioti graffitari hanno sporcato l'interno della casa, e i loro idioti fratelli vandali (foto al centro) hanno spaccato il lavabo appeso alla parete al primo piano, intatto al momento dell'inaugurazione. L'angolo più nascosto della casa è stato più volte usato come bagno da senzatetto o da senzacervello.



Sol LeWitt, Wall 2002, 2002, blocchi in cemento colore ardesia; cm 60x2000x500.





Riccardo Licata, Otto Totem, 2002, acciaio smaltato; cm 40x90x300.

Qui poté più il nome che la bellezza.



Mauro Staccioli, Scultura 98, 2003, acciaio Corten, cm 1200x300x30.

AG Fronzoni, L'infinito è un quadrato senza angoli, 2003, acciaio inox spazzolato; cm 600x600x25.

Contariamente alle aspettative dell'autore, l'opera piacque più alle persone balzane che alle menti speculative: la giustificazione del senso (sempre che un senso compiuto si possa attribuire all'arte moderna) risultò un po' fumosa.

Emilio Tadini, L'uomo e la Luna.



Ettore Sottsass, Interno notturno, 2007.

L'opera (si fa per dire) risulta al momento incompleta: il giorno dell'inaugurazione a uno dei travetti orizontali era appeso lo scheletro stilizzato di una finestra, poi andato distrutto. La povertà della realizzazione (concettuale e di mezzi impiegati) la rendeva da subito destinata alla scomparsa. Ma per fortuna non si perderà nulla (come per molte altre "opere" di Sottsass).



Marco Ferreri e Davide Mosconi, Foglie al vento.

Non possiedo documentazione fotografica di quest'opera. Il vento e le interperie hanno rubato agli alberi dove l'opera era stata collocata le foglioline metalliche di cui essa era costituita.



Matteo Bandiera e Alessandro Tessari (VÁZQUEZ CONSUEGRA), Padiglione Farola, 2008, acciaio corten.

La scultura diventa particolarmente suggestiva quando si scelga un punto di osservazione che consenta alla luce di filtrare attraverso le cavità triangolari di cui sono traforate le pareti. Il giorno dell'inaugurazione a ciascun convenuto fu donato uno dei triangolini estratti dalle lastre che costituicono le facce (a loro volta dei triangoli) del poliedro. Le cavità e le facce sono omotetiche tra loro.



Gabriele Basilico, Mirador, 20... , acciaio.

La scultura è un "aggeggio" (vedi a destra) per inquadrare i vari angoli del parco all'interno di un rettangolo che diventa cornice visuale e dunque "quadro". A sinistra è riportata una foto scattata con l'obiettivo vicino all'oculare del "Mirador" (la distanza non del tutto ravvicinata non consente di vedere tutto il rettangolo); a destra un soggetto all'interno del rettangolo (ma non inquadrato col mirador) decisamente più interessante.



XXX, Il quadrato non è più lui, 20... , quattro sculture in acciaio Corten, tutte superiori ai 2 m di altezza.


Si tratta di quattro lastre quadrate d'acciao variamente tagliate e "ricomposte".



Nella galleria coperta adiacente al parco sono esposte le seguenti opere:

Bruno Munari, Fili Pesi quadrato, 1998, acciaio inox; cm 85x85x450.

L'opera risulta danneggiata: uno dei fili che reggeve l'ultimo quadrato si è rotto e questo penzola pericolosamente sulla testa dei visitatori.

Bruno Munari, Fili Pesi triangolo, 1998, acciaio inox; cm 100x100x450.

Riccardo Dalisi, Il rumore del tempo, 2002, ottone e rame.

Sol LeWitt, Rainbow.