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Storia di San Donà
attraverso foto e cartoline
I grandi mutamenti dei bacini fra Piave e Sile, fra Piave e Livenza e l’odierna condizione di San Donà
in una vasta pianura attraversata da un numero esuberante di corsi d’acqua, col livello in qualche
punto inferiore al mare, presentano un interesse storico eccezionale.
Il territorio subì la trasformazione da campagna ubertosa a landa palustre tante volte,
e non poche, quante sono le stratificazioni di argilla, sabbia e torba che si alternano nelle viscere della terra:
gli abitanti furono costretti a emigrare, immigrare, lottare e progredire, e le città
e borgate di Melidissa, Eraclea, Cittanova e Fines, sorsero rigogliose e scomparvero
anzi tempo.
È indubbio che i danni e i vantaggi di questo fiume sono considerevoli sotto vari aspetti. Notiamo intanto che anticamente il Piave, come abbiamo veduto altrove, aveva vari corsi, il maggiore dei quali verso Cessalto e Chiarano, lì dove corre oggi il Piavon (il cui suffisso in -on lascerebbe intendere "di un tempo") mentre oggi ha un Corso solo, il gigante dei corsi della regione. Il nome di Anasso in passato dato al Piave voleva significare appunto fiume principale [questo nome risulta dagli atti conservati nell'archivio di Stato di Venezia sotto il titolo Statuta Sancti Donati de Anasso e in un carme di F Bianca Cappello]. Il Piave nasceva un tempo nella Provincia di Belluno in Comune di Sappada, ed era fiume interamente veneto,
ma da quando il Comune di Sappada è passato al Friuli il fiume ha perduto il suo primato.
Ha per confluenti: a destra il Cordevole, il Rio Corvo, il Padola, l’Ansiei, il Langerin, il Molinà, il Boite, la Valbona, la Toanella, il Maè; a Sinistra il Frisone, il Piova, il Mauria, il Saceido, il Talagona, l’Anfela, la V. Montina, la V. Panache e Vajont. I più importanti sono l’Ansiei e il Boite. Il suo corso è di 220 Km e serviva un tempo principalmente alla fluitazione del legname. Nel tratto superiore di questo fiume anticamente ebbero luogo fatti d’armi di qualche importanza. Nel 1797 poi Massena sconfisse gli austriaci e nel 1809 l'esercito dell’Arciduca Giovanni vinse l'esercito francoitaliano. La provincia di Treviso è attraversata da questo fiume con andamento tortuoso
e rapido da Fener a Zenson e quella di Venezia con andamento meno tortuoso, ma non sempre meno rapido.
Il bacino di questo fiume è calcolato chilometri quadrati 4100, dei quali 3100 in montagna, una piccola parte dei quali in Trentino e un'altra piccola parte in Friuli.. Un secolo addietro la sua portata,
in tempo di piena, si calcolava in metri cubi da 600 a 1000 al secondo;
nel 1815 risultò da 800 a 1200; nel 1882 la portata salì da metri 1200 a 2000 al min/sec.
e nel 1903 aumentò di circa un terzo, con la portata di mc. 1800 a mc. 3000 al min/sec.!
In epoca antica e medievaleNell’anno 400 dell’era volgare i corsi di questo fiume erano liberi, senza argini, dal monte al mare. Nel secolo VI invece, a dir di Cassiodoro, il famoso segretario di Teodorico, nei paesi rivieraschi del fiume prossimi al mare si scorgevano difese composte di fascinaggi. Così era d’Eraclea nel 650, considerata fortezza marittima perché aveva il mare tra levante e mezzodì ed era difesa dalle acque del fiume, e da altri canali o corsi minori dagli altri lati dalle sue colossali mura turrite. Abbandonata la difesa acquea d’Eraclea nell’anno 810 e smantellate le mura, i corsi d’acqua ripresero la direzione naturale verso mezzodì per lo sbocco nella laguna di Burano. Dal 900 al 1100, per le grosse alluvioni accompagnate da disalveamenti dei corsi delle acque e da allagamenti senza confini, si sconvolse l’ordine delle cose, e di questi luoghi stava per perdersi fin la memoria. Dopo l’inondazione spaventosa del secolo XII quasi tutto il territorio, meno i luoghi alti, si trovò coperto di uno strato di limo abbondante, che richiamò l’attenzione degli abitanti emigrati. Non è quindi improbabile che fra le ragioni per le quali queste terre si ripopolarono vi sia anche quella della promettente feracità del suolo. Intorno al sistema idraulico dopo l’alluvione del XII secolo non vi sono notizie diverse da quelle dell’epoca precedente, ma s’intuisce che si trattava di terre abbandonate. Nella SerenissimaNel secolo XV la Repubblica esigeva dai proprietari dei beni lungo il Piave la manutenzione dei lavori di difesa in cambio di franchigie tributarie e concedeva poi il dissodamento dei boschi per i fascinaggi e altri ripari.Nel 1506 il governo della repubblica ordinò a Filippo Capetro, imprenditore vicentino dimorante a Noventa di Piave, i lavori straordinari di chiusura di molte rotte arginali cagionate da una piena notevole. In quell’epoca non era ancora costruito l’argine di S. Marco. Nel secolo XVI stesso si avvertì un grande risveglio nel governo della repubblica circa il modo di disciplinar il corso dei fiumi in tutto il territorio soggetto, ma l’obiettivo principale di questo risveglio non fu per difendere le terre e le popolazioni rivierasche dalle inondazioni, ma per allontanare lo sbocco dei fiumi dalla laguna. Tecnici e pratici, sgomentati dal lento lavorio delle torbide del Piave che avevano interrato una parte della laguna di Burano e minacciato l’interrimento di Venezia, colla triste prospettiva della malaria, della cessazione del traffico, della completa rovina, fecero decretare un primo lavoro colossale nel 1534, l’argine di S. Marco, da Ponte di Piave alla Torre del Calligo, per obbligare il fiume, che metteva foce nella laguna di Burano, a sboccare al porto di Iesolo. Questo lavoro segna l’inizio delle arginature robuste ed elevate. Nel 1571 l’argine era compiuto ma non consolidato, ragione per cui in quest’epoca troviamo il divieto di transito sulla sommità fino al completo consolidamento. Secondo lavoro colossale fu quello del disalveamento artificiale del Piave da S. Donà, località intestatura, al porto di S. Margherita, eseguito, dal 1642 al 1664 con la spesa di oltre un milione e un quarto di lire venete. Il canale artificiale fu battezzato col nome di Piave nuovo. Per questo canale le frazioni di Passarella e Chiesanova furono spietatamente divise da S. Donà e passarono dalla sinistra alla destra del fiume, private della via fluviale maggiore e condannate dagli stagni dell’alveo abbandonato alle febbri malariche. Immediatamente dopo questa operazione il fiume Sile fu immesso nell’alveo abbandonato dal Piave nella località di Caposile e mise foce al porto di Iesolo. Nel 1683 una piena straordinaria ruppe le arginature del Piave nuovo e determinò lo sbocco di questo fiume, anziché a S. Margherita, a Cortellazzo, dove sbocca tuttora percorrendo da S. Donà 17 chilometri. Il sistema idraulico ha avuto diverse fasi che si possono riassumere:
- In data 8 giugno 1565 fu ordinato agli abitanti lungo il Piave di riparare gli argini che erano sistemati completamente nel 1550, di scavare i fossi e canali e l’alveo del Piave. - In data 1671 fu ordinato ai proprietari delle terre attraversate dal Piave di abbassare il letto del fiume a loro spese. - Nel 1679 la Repubblica accordò ai presidenti degli Arzeri e Arzerini di S. Donà per la sistemazione dei medesimi un compenso straordinario di mille lire in via di transazione della lite dagli stessi presidenti intentata, accollando loro la manutenzione perpetua senza altri compensi. Dopo il 1671 non si parla più di abbassamento del letto del fiume, per cui sembra che da quest’epoca abbia avuto principio la quarta fase di recente progredita, tanto per l’altezza come per la robustezza delle arginature, per i lavori in pietra, e per altre innovazioni suggerite dall’arte e dall’esperienza. Ma quale di queste fasi è la migliore? Le cambiate condizioni del fiume rendono impossibili i confronti fra l’una e l’altra. Resta però il fatto che in passato l’acqua non aveva, né il peso, né il volume, né la violenza che ha oggi, per cui poteva allagarsi tutto il territorio per mesi e anni senza il pericolo di vittime umane. Quanto alla competenza passiva della spesa sembra che il governo pensasse direttamente alle sistemazioni radicali e alle opere nuove e che i proprietari consorziati e avessero l’onere della manutenzione, compensato però dalle franchigie tributarie. L’attività spiegata dal governo della repubblica Veneta per deviare lo scarico dei fiumi dalla laguna al mare fu causa di gravi perturbazioni nel nostro territorio, specie nei primi tempi, ma a questo grave inconveniente lo stesso governo tentò riparare con una serie di disposizioni successive. Dopo il 1866, il Piave italianoDal governo nazionale poi in fretta e in furia vennero promulgate nel Veneto le leggi del regno d’Italia, senza tener presente che questa regione, per il numero grande dei corsi d’acqua e per l'allontanamento dei principali fiumi dalla laguna, si trovava in una condizione anormale, non preveduta dalle leggi sui lavori pubblici e forestali. Di conseguenza un periodo di confusione si verificò dopo il 1866 quando il servizio di difesa dei fiumi fu affidato al Genio Civile, legato mani e piedi dalle ristrettezze del bilancio nazionale. Tuttavia le tradizioni idrauliche basate sulla incolumità della laguna non ostacolarono più l’azione dei comuni, e così poterono compiersi le due grandi opere, quella cioè del Brian, destinata ad impedire la risalita delle acque marine di flusso nel bacino fra Piave e Livenza (il cui territorio nella parte superiore presenta un’altezza media di metri 2,80 sul comune marino e in quella inferiore soltanto di metri 0,60) opera che costò oltre mezzo milione, e quella detta sostegno all’Intestadura di Piave, che costò L. 430.000, la quale dopo 223 anni permise al tratto di Piave abbandonato dall’incanalamento del fiume, di riprendere il suo corso nel vecchio alveo e di riattivare la navigazione diretta con Venezia ridonando la salute alle terre di Chiesanova e Passarella. Quest’opera è ricordata dalla iscrizione su tavola marmorea infissa nel manufatto. Ricordiamo che il senatore Torelli pose la prima pietra deponendo nelle fondamenta una moneta d’oro coniata nel 1871. [Plateo] La eco profonda delle inondazioni del Piave 1882, 1889, 1903, colla lugubre nota delle vittime umane, vibra ancora oggi nell’animo degli abitanti di S. Donà e reclama provvedimenti non irrisori. Noi auguriamo che le grandi alluvioni, segnate dalla storia a tinte nere, non si ripetano più. Non possiamo però dimenticare l’altezza delle scaturigini del Piave, la sfrenatezza del suo corso, le angustie del suo alveo, il deviamento dello sbocco dalla laguna al mare e lo sboscamento progressivo dei monti, come tante cause di maggior impeto delle acque in tempo di piena. Dobbiamo poi constatare che queste cause costituiscono una potenza ignota ai tecnici e ai profani fin che dura l’attuale sistema di difesa, affatto insufficiente, prova ne sia che gli uni e gli altri rimasero fin qui ingannati dalle più studiate ipotesi. La recente legge sul magistrato delle acque della regione, affrettata dal comizio imponente tenuto nel teatro di S. Donà il 17 gennaio 1904 coll’intervento delle rappresentanze di comuni e provincie, di Senatori e Deputati ci fa sperare un avvenire meno disastroso, ma intanto, ammoniti dalle sventure passate e con fede rinnovata nella possibilità di una difesa razionale contro le furie crescenti del fiume in piena, dobbiamo raddoppiare gli sforzi per ottenere dal Governo l’adempimento del dovere di garantirci la vita e le sostanze. Durante la Grande GuerraFiume sacro alla Patria1919
La didascalia parla di fiume sacro, e questa definizione venne in uso solo dopo il conflitto.
L'alluvione del 1966La grande piena del 2018 |
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