El Zotto Candoeta (189..-195..)

Una iena ante litteram

La candoéta è il rubinetto che si attacca alle botti. E il soprannome alludeva quindi a una certa passione per il vino. Era uno showman, o forse una iena ante litteram. Andava a Venezia e lì metteva im piedi il suo show fatto di nulla: “Venite a vedere il più grande equilibrista del mondo, che pur essendo zoppo riesce a compiere un lungo tragitto…” e tracciava (o faceva tracciare dai suoi amici) una linea bianca col gesso per terra, e, con tanto di asta per l’equilibrio, impiegava un’ora a fare il tragitto sopra il segno bianco, neanche si fosse trovato sopra un cavo tirato tra le Torri Gemelle. Gli si formava un nugolo attorno… La gente mormorava: è matto, è matto. Lui si divertiva a prenderli in giro.
Prendeva in giro tutti, e aveva notevoli capacità di recitazione.
Ricorda il professor Giacomo Carletto che il Zotto Candoeta “aveva fatto piangere mia madre che, arrivata col treno per la prima volta a San Donà, e poi in centro col bus, era entrata al Bar Borsa per chiedere dove abitasse il dottor Carletto, mio nonno; e il Zotto, con le grucce e il cappello in mano, si lasciò cadere di mano il cappello e poi fece finta che fosse stata mia madre a fargli cadere a terra il cappello e cominciò a rimproverarla, - Ma come, signora, prendere di mira un povero zoppo… E lei, innocente di tutto ma non creduta, si mise a piangere”.
Aveva una faccia di bronzo come pochi. Che sfoderava soprattutto con i ricchi. Si divertiva a farsi trovare in stazione la domenica quando la compagnia colto-mondana che la sera prima aveva partecipato all’opera alla Scala di Milano, tornava da Milano. La gita all’opera era un momento culturale così raffinato che poche persone potevano permettersi, ma era più spesso (come del resto oggi) l’occasione per i signori per esibire le loro splendide compagne, e per costoro l’occasione per mettere in mostra le loro splendide mise e i loro dorati accessori. Allora era di moda per le donne più glamour accompagnarsi a dei grandi cani, di un certo prestigio; il Zotto si avvicinava, si soffermava a osservare fintamente interessato i gioielli della signora... e, ancora più interessato, quelli del cane (notoriamente sempre bene in vista) e si divertiva a provocare le gran dame, fintamente ingenuo: «Scusi signora, ma è un cane o una cagna?»
Come molte delle persone evidentemente ironiche, il Zotto Candoéta era notoriamente antifascista; e vittime dei suoi scherzi erano i più accesi sostenitori del Regime; uno di questi era Corrado Pilla (papà di Gianfranco, futuro sindaco di San Donà), detto, per la stazza, “il Pilone” (allora il cognome Pilla veniva più spesso pronunciato Pila). Corrado era professore di scienze al Liceo di San Donà, da poco istituito, e non disdegnava di vestirsi in orbace. E ovviamente frequentava la Casa del Popolo, ovvero la Casa del Fascio (che poi sarebbe stata intitolata a Italo Balbo). E il Zotto Candoéta si divertiva a canzonare il Pilone più degli altri. Nascosto in qualche punto della Piazza, si divertiva a urlare “Pillaaaa!” in direzione della Casa del Fascio, aggiungendo qualche appellativo irritante; oppure declamava la sua filastrocca preferita: «Pilla inbaretà va su e zó par San Donà». Corrado Pilla, che per tali ragioni non amava il zotto Candoéta, una sera, dalla finestra della Casa del Fascio, riuscì finalmente a individuarlo in mezzo ai pitosfori del monumento a Giannino Ancillotto; e fatto segno ai suoi compari del nascondiglio dell’impudente riuscì a bloccarlo: il Zotto fu portato nella Casa del Fascio e gli fu dato l’olio di ricino, cosa che ebbe l’effetto noto di indurlo a smerdarsi tutto.
Quando cadde il fascismo, il 25 luglio 1943, il Zotto Candoeta si vestì da federale fascista e salendo su uno chalet (un carro guidato da un contadino) andò in giro urlando col braccio alzato in tutte le direzioni: «Fascisti, che spuzza oggi, che spuzza!» alludendo al fatto che toccava ora ai fascisti, dopo aver distribuito tanto olio di ricino, cagarsi addosso.
Durante la RSI il Zotto fu ovviamente costretto a nascondersi.