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L'Europa era già in guerra dal settembre 1914 e in Italia le varie fazioni lottavano
chi per intervenire chi per starsene fuori. Alla fine vinsero gli urlatori, i peggiori,
e l'Italia il 24 maggio 1915 entrò in guerra. Il confine con l'Impero era lontano almeno 150 km,
San Donà era tranquilla.
Ecco qui sotto alcune immagini della città due anni prima della grande distruzione.
Nel giugno del 1915 il giovane don Luigi Saretta arrivava a San Donà, comune allora di 14.000 abitanti, quale nuovo arciprete di quella vasta parrocchia. La proposta di affidamento da parte del vescovo Longhin (già sul finire del 1914) lo trovò restio, la missione appativa impegnativa e tuttavia l'11 gennaio 1915 arrivò l'affidamento ufficiale. In aprile, prima del suo arrivo, il neoparroco scrisse due lettere di saluto, al Vicario e a Giuseppe Bortolotto, sindaco di San Donà, che gli rispose schiettamente, dopo i saluti di circostanza: “… Ella saprà cattivarsi la benevolenza di tutto il Paese se, come dice, svolgerà la sua elevata missione di carità e di fede, tenendosi all’infuori del campo nel quale svolge la sua azione l’Autorità Civile“.Insomma, lo avvertiva di stare lontano dalla politica. L’ingresso ufficiale a San Donà ebbe luogo il 26 giugno 1915. E così l'arcipreete l'avrebbbe ricordato molti anni dopo “La sera del 26 giugno 1915, verso le sette, ho fatto il mio ingresso a S. Donà di Piave. La canonica era occupata dal Comando Militare che gentilmente mi offrì per la notte una branda. Il mattino seguente celebrai la prima messa e mi presentai al popolo, che non sapeva della mia venuta. Ricordo le mie parole: «Volete vedere il vostro nuovo arciprete? Guardatemi bene. Sono io. Sono venuto in un momento tragico. Il cannone tuona. Molti dei miei figli sono in pericolo. Non ho voluto nessuna esteriorità di festa. Vogliatemi bene. Vi prometto che vi amerò e tutta la mia vita spenderò per voi. Pregate per me.»”Parole, queste, che non lasciavano alcun dubbio sul superamento della ritrosia iniziale. Lo zelante Saretta si mise da subito all’opera, in un “terreno che per le discordie, le divisioni create da problemi economici e sociali, pareva chiuso alle opere d’amore”. Il 5 settembre 1915 venne inaugurato a Calvecchia il primo degli Asili per i figli dei richiamati in guerra; successivamente sarebbero stati aperti quello di Isiata (1916) e quello di Mussetta (febbraio 1917). 1916Proseguiva la guerra, ma sembrava distante. Nel gennaio 1916 si tennero in parrocchia i “Santi esercizi spirituali” tenuti da predicatori.
Intanto continuavano e si organizzavano le adunanze delle varie confraternite e associazioni;
si esortava la frequenza alle funzioni del vespero, alle celebrazioni eucaristiche,
tra cui quella per i soldati ogni martedì mattina presso l’altare di Sant’Antonio.
1917
CaporettoL'impatto della prima guerra mondiale su San Donà fu devastante. In seguito allo sfondamento delle linee italiane a Caporetto (24-25 ottobre 1917, la temibile ed elefantiaca II Armata del generale Capello era perduta, la III, del Duca d'Aosta, ripiegò appena più ordinatamente verso occidente, verso il Piave. L'inseguimento dell'esercito nemico durò neanche due settimane.Al Piave non arrivarono comunque solo i militari. La sera del 28 ottobre, una domenica, raggiunsero San Donà i primi profughi civili, provenienti anche dal Friuli. Dal 29 al 31 ottobre fu la volta dei militari della Terza Armata, che per due anni avevano combattuto sul Carso.
Il Sindaco Giuseppe Bortolotto ordinò l'abbandono della città il 4 novembre 1917, mentre la sede comunale
veniva trasferita a Firenze. Nei giorni seguenti i reparti del genio militare procedettero
alla demolizione degli edifici alti (in modo da privare il nemico di possibili
punti strategici di osservazione) e all'interruzione degli attraversamenti del fiume.
A partire da questo evento non fu più permesso ai civili di passare il ponte: chi era in sinistra Piave
era inesorabilmente costretto a rimanere dalla parte austro-ungarica, con tutte le conseguenze.
L’8 novembre, la stessa sorte del campanile del Duomo di San Donà spettò a quello della parrocchiale di Noventa e al camino dello Jutificio di Mussetta. Il cappellano don Rossetto, che aveva assistito al brillamento del campanile di San Donà, si era spostato in Fiorentina.
L’8 novembre 1917, l'altro cappellano, don Marin, si sistemò presso Casa Sgorlon a Palazzetto.
In questa casa si organizzarono subito un’infermeria, il rifugio per i profughi e una piccola cappella.
Casa Sgorlon fu il punto di riferimento e rifugio per molti profughi di S. Donà, Grisolera (Eraclea),
Cavazuccherina (Jesolo), Passerella e Chiesanuova.
Alle 5 del 9 novembre fu fatto brillare il ponte della ferrovia.
Qualche ora più tardi fu fatto brillare anche il ponte stradale tra San Donà e Musile. Le retroguardie italiane, quel giorno, ingaggiarono gli ultimi combattimenti in sinistra Piave contro le avanguardie asburgiche. Arrivano gli AsburgiciLa sera del 9 novembre 1917 San Donà e Grisolera (Eraclea) furono raggiunta dalla 12ª Divisione dell'Isonzo Armee. L’esercito austro-ungarico si affacciò sulla sponda sinistra del Piave. I militari erano di diverse nazionalità: austriaci, ungheresi, bosniaci, polacchi… Nei primi mesi, il Comando austriaco si insediò nell’allora Villa Ronchi di Palazzetto, a pochi metri
da Via Ca’ Turcata e dall’argine sinistro del Piave. (Danneggiata gravemente dall’artiglieria italiana,
dopo la guerra Villa Ronchi sarà ricostruita ed è tuttora visibile tra la folta vegetazione che la circonda.)
Il tessuto urbanistico della città di San Donà di Piave si avviava a subire le distruzioni della guerra, sul Duomo, sulle opere di bonifica, su tutto il centro cittadino. La cosa più triste per i sandonatesi fu veder ripiegare l'Esercito Italiano, il 15 novembre, dalla riva destra del Piave Nuovo a quella sinistra della Piave Vecchia e al Cavetta, mentre gli austriaci riuscivano a passare il fiume sino a Fagaré, Molino della Sega respinti dai contrattacchi delle B. "Novara" e III Bersaglieri, mentre a Zenson veniva creata una testa di ponte che sarebbe resistita sino al Natale 1917. Assieme alle suore dell’asilo e dell’ospedale, Saretta e i suoi collaboratori si erano intanto portati a loro volta a Grisolera, a Casa Sant. A Grisolera e a PalazzettoAvvenne che i muli e gli asini sistemati dagli austriaci presso Casa Sgorlon, con il loro scalciare, fecero scoprire la preziosa cassa (dove erano nascosti i preziosi della parrocchia) a un soldato asburgico. Grazie alla complicità della guardia austriaca, profumatamente ripagata, la famiglia Sgorlon poté nascondere la cassa nel letamaio della casa. Don Marin e monsignor Saretta (che giunse lì il 16 novembre dalla Casa Sant di Grisolera) curarono la vita spirituale e confortarono come poterono le persone rifugiate, difendendole spesso dai soprusi e violenze dei militari indisciplinati e spesso ubriachi dell’esercito invasore. Villa Ronchi fu bombardata e le truppe austro-ungariche spostarono il proprio comando nella più lontana (dal fronte) e protetta Villa Ancillotto.
Nei pochi momenti di tregua dal fuoco, il 17 novembre 1917 si riuscì ad adornare a festa la piccola cappella allestita nella casa della famiglia Sgorlon con le tende prelevate dalla vicina Villa Ronchi ormai distrutta dal fuoco italiano. Il rifugio di Casa Sgorlon per quel centinaio di profughi era però provvisorio, poiché era imminente lo sfollamento forzato. Sfollati a Torre di Mosto e a CeggiaNei primi giorni di quel dicembre 1917 cominciò a correre voce che, per ragioni militari,
i profughi civili sarebbero stati allontanati dai loro rifugi in prima linea, che coincideva appunto con il Piave.
Così, nonostante le proteste di mons. Saretta e don Marin, il Comando austro-ungarico
ordinò di far sgombrare anche Casa Sgorlon.
1918Nello sfondo si notano alcuni soldati austriaci
che stanno avanzando. Il portale d'ingresso del cimitero presenta i segni
delle cannonate ma molte case verso il centro sono ancora in piedi.
Sembriamo lontani dal centro... ma il vecchio cimitero
era situato poco prima dell'attuale Oratorio Don Bosco
e tutte le abitazioni dell'isolato posto nel quadrilatero
formato tra la via 13 Martiri, via Don Bosco, via Vittorio Cian e via Ciceri
sono state tutte costruite entro i confini del vecchio cimitero.
Si nota il canale a lato della strada alberata.
Al MuB è conservata una croce in ferro trovata non molti anni
fa in occasione dell'escavo di fondazioni per una nuova costruzione. Nell'occasione
furono trovate anche tombe. La battaglia del SolstizioLa guerra di difesa culminò nella battaglia del Solstizio.
Nell'autunno del 1918 l'esercito italiano lanciò l'offensiva risolutiva contro le postazioni austro-ungariche e il 31 ottobre del 1918 San Donà tornò in mani italiane. In quel momento l'Amministrazione cittadina di San Donà (con quella di Musile) aveva ancora sede a Firenze, come ci ricorda il seguente documento, dell'ottobre 1918.
San Donà distruttaIl bilancio dei lunghi mesi di combattimenti era pesante: le infrastrutture cittadine risultavano completamente distrutte e la maggior parte del patrimonio architettonico e artistico era andato irrimediabilmente perduto. Per le sofferenze e le distruzioni subite durante il primo conflitto mondiale la città sarebbe stata in seguito insignita della Croce al Merito di Guerra. Ma era davvero servita a qualcosa, una guerra spaventosa e inutile, voluta da una minoranza di stronzi, solamente più rumorosi e agguerriti degli altri? Oh sì, era servita a realizzare finalmente l'unione spirituale che non si era compiuta col Risorgimento. Qualcuno davvero lo disse senza ironia.
Qui sotto, tre foto di Via Maggiore, in successione,
dal ponte fino alla chiesa
Il ritorno di SarettaMons. Luigi Saretta ritornò a San Donà dall’esilio forzato di Portogruaro nel novembre 1918, a un anno esatto dall’inizio dell’esodo della popolazione causato dall’arrivo degli austro-ungarici. Grande fu la desolazione che incontrò il presule, il giorno dopo la firma dell’Armistizio: la città era stata quasi completamente rasa al suolo dall’artiglieria italiana. Nonostante il senso d’impotenza davanti alle grandissime necessità della popolazione priva di tutto, conforto religioso compreso, e le enormi difficoltà da affrontare per risollevare e riorganizzare una città distrutta, Saretta non si diede per vinto e cominciò a organizzare i primi aiuti alla popolazione, assieme al Commissario Prefettizio (già Sindaco di San Donà prima dell’invasione austro-ungarica) Giuseppe Bortolotto. I due stabiliscono il loro “quartiere generale” nella casa di Pietro Lizier, in località Ponte Alto (Calvecchia). Di lì a pochi giorni, da Treviso in bicicletta, raggiunse i due anche don Pietro Filippetto,
inviato dal Vescovo Longhin per aiutarli.
Se casa Lizier divenne il centro religioso e civile in quei primi mesi dopo l’anno di guerra, tuttavia il Parroco non dimenticò il Duomo, praticamente distrutto dalle granate italiane. Appena si liberarono le macerie, mons. Saretta celebrò un’Eucarestia tra le mura diroccate, alla presenza di trecento fedeli. Era l’8 dicembre del 1918, giorno in cui Vittorio Emanuele III, re d’Italia, transitò per San Donà nel suo giro di visita ai territori liberati. La disperazione per le distruzioni e le necessità rischiarono di sopraffare il Parroco di San Donà, il quale così si espresse: “Da mattina a sera il mio posto è stato fra le lagrime e gli strazi: non ne posso più. Ho visto la mia chiesa devastata, e fra le rovine eretto un Crocifisso. Esso, che veramente è stato l’unico consolatore rimasto al popolo, mi dice che il mio dovere è quello di continuare fra i tribolati a confortare, a soccorrere”. Quel Crocifisso, collocato da mano ignota tra le macerie della chiesa e trovato da Saretta, è custodito in una bacheca del pronao del Duomo di San Donà. Dalla parte opposta è collocato il busto marmoreo di mons. Luigi Saretta, un dovuto omaggio a chi per quarantasei anni (1915-1961) fu affidata la pastorale religiosa dei Sandonatesi, contribuendo all’edificazione di tante opere civili e religiose, ancora oggi presenti nella nostra città. Il vescovo Longhin venne in visita ai luoghi distrutti dalla guerra ed entrò nel duomo di San Donà, devastato.
Necessità di una Casa per i giovaniDa giovane insegnante a Treviso, don Saretta aveva conosciuto con interesse
e ammirazione il metodo educativo di don Bosco.
Già nel 1916 Saretta era stato ricevuto assieme a tre giovani
dal Rettor Maggiore don Albera, a Torino, per il suo progetto per una Casa per i giovani.
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