Il grande piano
di Camillo Puglisi Allegra e Max Ongaro
per la ricostruzione di San Donà


Le distruzioni causate dalla grande guerra avevano colpito duramente San Donà, mettendo anche in dubbio per un momento la sua centralità politica, amministrativa ed economica nel territorio: gli uffici dell'amministrazione statale stavano per essere trasferiti altrove, i possidenti locali ventilavano la possibilità di abbandonare il paese, le valli avevano ripreso il posto delle terre coltivate. A questo si era aggiunta, nei primi giorni di gennaio 1919, una spaventosa alluvione che aveva annullato due mesi di ricostruzione, e in seguito alla quale le Autorità centrali avevano imposto addirittura l'abbandono del paese. Fu solo la determinazione di alcune persone - primi fra tutti il Commissario prefettizio Cavalier Giuseppe Bortolotto e il parroco Monsignor Saretta - a sventare questa ipotesi e a permettere al paese di rinascere, riprendendo quel ruolo che aveva avuto fin dall'Ottocento. Superando un'ottica ristretta, il cavalier Giuseppe Bortolotto si adoperò anzi presso il Ministero delle Terre Liberate Sua Eccellenza Antonio Fradeletto affinché tutti i paesi rivieraschi del Piave avessero un piano regolatore, anche quelli esonerati dalla legge perché inferiori ai 10.000 abitanti poiché "quando tutto è distrutto o quasi, si appalesa come sarebbe grave errore il permettere che si dia mano alla ricostruzione senza l'osservanza di norme prefinite, frutto di studio ben ponderato".
Partendo da queste premesse il successore di Giuseppe Bortolotto, il Commissario Prefettizio Tenente Colonnello Ruggero Pedrotti, nominò il 31 agosto 1919 una commissione per lo studio del piano regolatore di San Donà, che annoverava tra il suoi membri l'ingegner Max Ongaro, l'ingegner Camillo Puglisi Allegra, il professor Guido Bortolotto, l'avvocato Luigi Pasini, l'ingegner Fausto Guiotto e il dottor Vincenzo Del Negro, sotto la presidenza del signor Antonio Piccinelli, Vicecommissario prefettizio del Comune di San Donà, invitando i componenti a stabilire in linea di massima "i limiti entro i quali doveva Rivolgersi lo studio tecnico per il rinnovamento e per l'ampliamento di questo centro urbano".

Il 22 dicembre 1919 venne presentato al consiglio comunale il "Progetto di piano regolatore del centro abitato": era stato elaborato dai due illustri architetti menzionati prima: Max Ongaro e Camillo Puglisi Allegra.

Fu approvato il 5 gennaio 1920.
Il piano regolatore fu progettato prendendo in considerazione le previsioni di sviluppo del paese, prevedendo quindi la creazione di un nucleo attorno al quale fosse possibile qualsiasi ingrandimento. I punti più importanti dovevano essere: una strada diretta tra il ponte sul Piave e la stazione ferroviaria (attuali via Jesolo e via Dante), una strada di Circonvallazione nord, e tre piazze; la prima, Piazza Indipendenza, esistente e due di nuova progettazione: la prima dinanzi alla chiesa e la seconda a nord ovest della stessa con una via di collegamento tra le due (via Ancillotto). Dalla piazza di nuova progettazione posta ad ovest della chiesa si dipartivano due strade: una verso la stazione (via Dante) e una ( via Gorizia) in diretto collegamento con via Pralongo, dove avrebbero dovuto sorgere il macello e il Foro Boario, facilmente collegabili con la Circonvallazione nord. Interessante notare nel disegno urbanistico l'uso che Max Ongaro e Camillo Puglisi Allegra fanno della curva, dimostrando con queste scelte di inserirsi nel dibattito urbanistico internazionale.

La differenza del piano regolatore precedente la prima guerra mondiale, questo inquadrare singoli problemi e le rispettive soluzioni in un contesto più ampio, attraverso uno studio accurato del territorio: si collegava adesso lo sviluppo socio economico di San Donà destinata secondo un'analisi articolata a diventare pochi anni una città prosperosa, il centro propulsivo per un territorio sempre più vasto.
“Lo sviluppo agricolo - affermavano i progettisti nella loro relazione - agevolato dalla facilità dei trasporti per acqua, per ferrovia e per via carreggiabili, prese singolar un mercato di ri primo ordine e un centro adatto allo sviluppo di industrie. Né questo impulso di vita seconda è in via di addestrarsi perché non proviene da cause transitorie e occasionali; ma, è certo, che andrà sempre più rafforzandosi con l'aumentare della produzione per nuove, grandiose bonifiche, per le migliorate comunicazioni fluviali, per la costruzione di ferrovie e di tranvie che devono allacciarla ai paesi alpini, forte dei consumatori dei suoi prodotti per antica tradizione”.

La grande chiarezza e bravura dei due autori del Piano fu quella di aver dato organicità e coerenza alle indicazioni della Commissione preposta al Piano, inserendole in una prospettiva di sviluppo strutturale e di lunga durata: “sicuri del futuro ingrandirsi di San Donà - essi dichiaravano - abbiamo studiato il piano che rispondendo per lunghi anni al suo progredire, formi sempre il nucleo attorno al quale sia possibile qualsiasi ingrandimento”.

Essi proponevano ad un tempo una modifica dell'ambiente ed un aggancio alla tradizione, poiché capivano che uno scollamento fra questi due poli avrebbe determinato la crisi del piano stesso. Non volevano “spostare troppo il cuore del paese” per “non turbare soverchiamente una quantità di interessi” (ma anche per la certezza di eliminare così “sicure e tenaci opposizioni”), ciononostante proponevano un piano di trasformazione e non di semplice restaurazione, adottando una progettazione duttile, capace di scelte flessibili e pragmatiche, raramente rigide, utilizzando i mezzi della cultura urbanistica con libertà e sicurezza.
In questa logica i progettisti fissarono una riunione con le persone più in vista del Comune, in una baracca delle scuole presso il municipio diroccato, due giorni prima dell'approvazione del piano da parte del Commissario prefettizio, per illustrarlo, e soprattutto per “prendere accordi” sulle espropriazioni che esso comportava.
È credibile che dinanzi a questa impostazione di maggiorenti del paese non dimostrassero opposizioni significative, tanto che i ricorsi presentati nei termini di legge furono solo 18.

I CAMBIAMENTI

La viabilità

Stabilendo una continuità con il passato, Ongaro e Puglisi Allegra cercarono di utilizzare intuizioni e proposte già presenti nel piano regolatore dell'anteguerra: mantenendo la centralità della Via Maggiore (attuale Corso Silvio Trentin), via XX Settembre (attuale via 13 Martiri), via Nazionale e via Garibaldi, idearono un collegamento autonomo tra il ponte e la ferrovia, progettando le future di Jesolo e via Dante che avrebbero dovuto svolgere il ruolo di alleggerimento del traffico stradale deviandolo dalla via principale; la larghezza di via Dante doveva essere di ben 20 metri, poiché avrebbe dovuto diventare la sede di una linea tranviaria che collegasse la stazione con i paesi oltre il Piave fino a Jesolo, lungo l’argine San Marco.
Nella parte Nord prospettarono il completamento della circonvallazione in modo da rendere possibile “il transito di carri e del bestiame senza turbare la via del centro”, ed evitando ai “rotabili” provenienti dai paesi circostanti un giro vizioso per recarsi alla stazione del treno e a Noventa. Il tutto attraverso un disegno che, consapevolmente, superava la rigidità della pianta acquarellata, dove i punti nodali erano uniti in modo piuttosto sbrigativo e astratto attraverso collegamenti rettilinei: “Forse - essi affermavano - taluno potrà farci rimprovero di noi aver adottato delle strade rettilinee. Rispondiamo subito che abbiamo spesso usato le curve per molteplici motivi. Innanzitutto non crediamo che le linee rette conferiscono bellezza alle città, che con strade e linee curve assumono l'aspetto più vario e piacente”; e, aggiungendo a questi motivi estetici altri di tipo funzionale ed economico: “dovevamo inoltre preoccuparci di non demolire i fabbricati ancora suscettibili di venir restaurati; dovevamo talora curare di seguire le divisioni delle proprietà e dall'altra di non toccare certe aree come ad esempio quella occupata dall'ospedale civile...”
Constatando inoltre nelle zone non centrali l'abituale tendenza di San Donà a costruire le abitazioni in mezzo ai giardini, affermavano di non essersi preoccupati troppo dei fronti stradali e degli angoli, per i quali “si sarebbero dovuti dare speciali accorgimenti qualora le costruzioni fossero sorte sul margine stradale”.
Volendo prevenire eventuali critiche, Ongaro e Puglisi Allegra motivarono anche la larghezza delle strade, che reputavano capaci di sopportare il traffico di una grande città, tanto da rendere molto lontano “il giorno in cui si sarebbe dovuto pensare ad allargarle”, con una preveggenza che caratterizzava tutto il piano: “Noi abbiamo assistito ad una tale trasformazione di mezzi di locomozione, abbiamo visto la loro velocità crescere così ampiamente, che strade ritenute amplissime a pochi anni dalla loro costruzione si riscontrano anguste, per cui crediamo prudente premunirsi”. Suggerivano anzi all'Amministrazione di integrare il Piano con disposizioni municipali che vietassero, al di fuori delle vie più centrali, di costruire a meno di 10 metri dal margine delle strade per essere in grado di allargare in futuro, se necessario, anche quelle; nel frattempo quegli spazi avrebbero potuto essere “ingentiliti” da alberi e fiori che avrebbero reso “belle, o perlomeno piacevoli” anche le più modeste costruzioni.
Estrema previdenza, gli architetti progettisti avevano previsto lo scavalcamento della linea ferroviaria sulla strada di Noventa con un cavalcavia, e a tale scopo avevo creato zone di rispetto per una sua futura costruzione.
Un reticolo di strade collegate a quelle già descritte avrebbe favorito il sorgere di molti quartieri, indispensabili all'insediamento dell'aumentata popolazione.

Le piazze

Nel disegno urbano proposto da Ongaro e Puglisi Allegra, le piazze assumevano un'importanza rilevante, poiché articolavano in modo più complesso l'assetto urbano del centro.

Piazza davanti alla chiesa
Un intervento importante era proposto nello spazio davanti alla chiesa parrocchiale, fulcro della vita sociale ed economica della città, progettando La costruzione di una piazza per favorire lo sviluppo di un tessuto commerciale e per rimediare alla congestione del mercato che lì si teneva, rendendo spesso impossibile “ il transito dei veicoli e il traffico cittadino”. la costruzione di questa piazza, inoltre, avrebbe permesso finalmente la costruzione del trono della chiesa, già progettato da Antonio DiedoNella prima metà dell'800 e mai realizzato.

La piazza più grande, a forma di esedra, avrebbe dovuto sorgere a nord ovest del Municipio (attuale Piazza IV Novembre) ed era destinata secondo il progetto ad accogliere importanti edifici, pubblici e privati, quali la pretura, il teatro, e poi alberghi, caffè, negozi; per la sua ubicazione lungo l'asse stazione ferroviaria- Ponte della Vittoria, e per la sua larghezza, avrebbe potuto diventare sede di una fermata della rete tranviaria. La piazza immaginata Doveva avere un'estensione di 100 m * 80, essere contornata da Portici e collegata alla precedente da una strada e avrebbe permesso la visione diretta della chiesa col pronao creando una vera prospettiva neobarocca. al centro della parte destra della piazza, nella parte mediana dell’esedra, si sarebbe dovuta aprire una strada, creando un ananas effetto prospettico per quelli che provenivano dall'attuale Vicolo Nuovo, ponendo come punto focale i nuovi palazzi governativi.

Altra piazza avrebbe dovuto sorgere di fronte alla Caserma del Genio Pontieri (attuale Parco San Marco), anch’essa dalla notevole ampiezza, ed avrebbe dovuto divenire un po' di attrazione per quella parte di San Donà in fase di espansione.

Piazza Indipendenza avrebbe mantenuto le dimensioni e il ruolo abituale.

I servizi

Rilevata la carenza di pubblici servizi collegati all'agricoltura, al commercio alla cultura, alla sanità, i due progettisti ne proponevano la collocazione in zone differenziate, funzionali agli interessi della collettività.
Il piano prevedeva un allargamento dell'area adiacente alla chiesa, lungo via XX Settembre, per istruirvi il mercato del pesce, mentre il Foro Boario avrebbe dovuto essere trasferito - come a grandi linee era stato previsto nel piano del 1911 - dal luogo in cui si trovava (dietro la chiesa), lungo la via Pralongo, in modo da essere vicino alla circonvallazione, allo scalo merci della stazione ferroviaria e alla piazza principale (IV Novembre), dove sarebbe stato di facile accesso per il bestiame proveniente da Ceggia, Noventa e dai paesi oltre il Piave.

Il mercato dei cereali della verdura avrebbe potuto trovare collocazione nella piazza Indipendenza, magari attrezzando con opportune tettoie l'area interessata.

Le scuole dovevano essere collocate, riprendendo anche in questo la proposta del piano di prima della guerra, lungo via Trento, considerata ad un tempo centrale e silenziosa perché non attraversata da correnti di traffico.

Il macello comunale, che da tutti era considerato obsoleto e in posizione poco felice, sarebbe stato spostato non lontano dalla Circonvallazione nord, vicino dunque alla stazione e al nuovo Foro Boario.

L'area cimiteriale poi, da molto tempo criticata per la sua localizzazione, raccogliendo indicazioni da lungo tempo espresse sarebbe stata spostata nella località Code, in una zona non urbanizzata, oltre la circonvallazione est.

Per quanto riguarda il Teatro Civico, il Piano individuava un'area edificabile non lontana dalla nuova piazza, prospiciente la doppia curva all'inizio dell'attuale via Dante.

Unica mancanza, che gli stessi architetti segnalavano, era l'assenza di un giardino pubblico, che essi individuavano come possibile nell'area occupata dai Locali d’Isolamento dell'Ospedale Civile Umberto I, lungo il viale Regina Margherita, e che speravano di realizzare dopo il trasferimento degli stessi - già ventilato - in una zona periferica, in modo da creare una barriera verde che separasse la zona ospedaliera dalla grande piazza ad esedra di nuova progettazione.

Approvato il 5 gennaio 1920, il piano divenne subito operativo e San Donà si trasformò in un cantiere.
Divenne anche un esempio da imitare, tanto che molte Amministrazioni Comunali richiesero delucidazioni sulle sue procedure di attuazione.

La realizzazione

L'attuazione del piano di regolatore sembrò proprio procedere con celerità e determinazione fino a quando operò nel territorio il Ministero delle Terre Liberate, intervenendo con capitali e capacità tecniche; venne invece rallentata e in alcuni casi compromessa quando la gestione passò direttamente all'Amministrazione Comunale, e non perché questa non condividesse il disegno, ma perché la carenza di risorse era tale da condizionarne fortemente la fattibilità: a volte si giunse a realizzazioni fedeli, altre volte a interventi minimali, altre volte ancora veri e propri stravolgimenti del progetto.
Così, ad esempio, vennero realizzate compiutamente Piazzetta Trevisan e Piazza Indipendenza; il Foro Boario invece non venne trasferito e rimase nel centro del paese; non fu attuata la Circonvallazione nord e, a causa della realizzazione minimale del Vicolo Nuovo (ripiegamento dovuto alle fortissime opposizioni dei proprietari del terreno destinato all’arteria di mezzeria dell’esedra) venne completamente stravolta Piazza IV Novembre (andò a farsi friggere anche l’idea dell’esedra stessa) e perse vitalità il tratto di Corso Vittorio Emanuele che andava dalla chiesa a Villa De Faveri; fu invece dedicata molta attenzione e cura al tratto rimanente, compreso tra la chiesa e il ponte.

(A cura di Giacomo Carletto)



Per corregggere o migliorare questa pagina scrivi a
c4rlod4riol@gmail.com