Il nuovo decreto trasferiva San Donà dal Dipartimento del Tagliamento (Treviso) a
quello dell’Adriatico (Venezia), elevandola a capo-distretto e sede cantonale
di una vastissima area: San Donà, Noventa di Piave, Mussetta, Tre Porti con
Cavallino, Cava Zuccherina con Caodesil, Croce
di Piave con Musil, Porte Grandi con San Michiel del Quarto, Crea, Tre palade,
Campalto, Terzo e Terzera, Caorle con San Gaetano, Cà Cottoni con Brian, e San
Zorzi di Livenza, Torre di Mosto con Bocca di Fossa, Burano con Mazzorbo e
Torcello, Sant’Elena, Staffolo e Fiumicin.
Si rese comunque necessario un terzo decreto per
ovviare ad alcuni errori e a più omissioni: come quella di Grisolera, smebrata
in due parti.
S. Donà, oltre all’amministrazione propria, si ebbe la sede notarile con decreto 9 ottobre 1807,
la sede cantonale con decreto 22 dicembre 1807, e più tardi la
sede di una «Vice Prefettura del dipartimento Adriatico».
Con decreto del 12 marzo 1808 N. 86 fu nominato
il primo Vice Prefetto nella persona del signor Pietro Notari.
Nel 1808 il
«Codice di Commercio di terra e di mare» fissò le norme e gli obblighi dei
negozianti: una donna sposata non poteva esercitare un mestiere o gestire un
negozio senza il permesso del marito né un minore senza quello del padre.
[ALBERTI L., Quadro del sistema di commercio vigente nelle Provincie Venete
nell’anno 1823 ]
1809: Il governo precettò gli operai per lavori di
fortificazione a Marghera in previsione di una nuova guerra fra la Francia e l’Austria.
L’obiettivo di Napoleone era la
conquista di Vienna con l’azione convergente di due armate, la sua, proveniente
da nord, per l’altra ordinò al figliastro, il viceré Eugenio, che si trovava a
Milano, di assumere il comando dell’armata d’Italia e di passare all’offensiva,
in modo da aprire un secondo fronte a sud. Il viceré Eugenio arrivò a Mestre il
10 aprile 1809, e lì pose il suo quartiere generale. Il giorno seguente
prosegui per Udine, passando dunque per le nostre zone. Arrivato nel capoluogo
friulano ricevette la dichiarazione di guerra dall’arciduca austriaco Giovanni,
comandante in capo dell’armata nemica, che si era schierata ai confini del regno
ed era pronta a muovergli contro.
Apertesi le ostilità, gli Austriaci batterono i
Francesi a Fontanafredda, vicino a Pordenone e procedettero a requisizioni di
vino, di frumento e di avena e imponendo un contributo per il mantenimento
delle truppe di stanza a Conegliano. [E. BELLIS, Annali Opitergini]
Sembra che i Veneti si levarono in massa contro i
Francesi; ma gli Austriaci a Croce non giunsero e probabilmente non ci fu
nessuna sollevazione; i Francesi comunque ritornarono anche da quelle partii a
metà maggio. Il governo del regno italico decretò la
nullità, salvo i diritti acquisiti da terzi, di ogni atto pubblico promulgato
durante l’occupazione austriaca e prorogò il pagamento delle imposte in tutto
il Dipartimento dell’Adriatico. [F. MUTINELLI, Annali delle Provincie Venete]
A nord intanto, il 6 luglio, gli austriaci venivano sconfitti da Napoleone
a Wagram, seguì il 14 ottobre la pace di Schönbrunn: gli austriaci erano costretti a
ritirarsi, perdendo Trieste e l’Istria. Diventavano francesi tutte le
Venezia: la Venezia Tridentina, la Venezia Julia, tutta l’Istria e la Dalmazia.
Nei mesi successivi si scatenò la repressione francese, con arresti.
In mezzo alla
confusione e alla paura si ebbe in quel 1809 la
compilazione del catasto di San Donà di Piave, atto
importantissimo per un’analisi sulla situazione socio-economica del paese.
Il 24 ottobre 1812 si avvertì un terremoto che fortunatamente provocò solo panico.
L’epicentro del sisma era a Cavasso nel Friuli.
[Giornale Dipartimentale dell’Adriatico, llf. 97 del 1812]
Consorzi idraulici
Negli anni 1808, 1811, 1813 si costituirono consorzi idraulici di scolo e di difesa
dei fondi posti a coltura, consorzi che presero i nomi di Passarella, Xola e Xoletta, Cavazuccherina,
Ongaro Superiore, Ongaro Inferiore, Bidoia e Grassaga i quali segnarono il primo passo
sulla via della redenzione delle terre paludose. S. Donà quindi aveva ragione
di battere le mani, prima alla rivoluzione francese e poi al Regno Italico sotto
il quale poté spiegare tutte le sue forze per il meglio del paese.
Ancora guerre
Il 20 agosto 1813 l’Austria dichiarò guerra a Napoleone, reduce dalla
disastrosa campagna di Russia e abbandonato dai Prussiani. Per l’occasione
costituì una armata per invadere l’Italia affidata al feldmaresciallo Heinrich
Bellegarde, che costrinse l’esercito del Regno d’Italia del viceré Eugenio di
Beauharnais a ripiegare dal Veneto; gli Austriaci giunsero
in questa zona ai primi di ottobre [L. Rocca., Motta di Livenza e i suoi
dintorni]; ma l’8
febbraio 1814, sul Mincio, Bellegarde fu sconfitto da Beauharnais.
Nei due mesi successivi la
posizione di Beauharnais peggiorò sensibilmente, a causa del passaggio del Regno
di Napoli di Gioacchino Murat all’alleanza con l’Austria (già dall’11 gennaio), del
successo della parallela offensiva austro-prussiana sulla Francia che portò il
31 marzo all’occupazione di Parigi e il 6 aprile all’abdicazione di Napoleone,
e di una congiura anti-francese a Milano, sostenuta dalla nobiltà milanese, che
sfociò il 20 aprile nel saccheggio del Senato e nel massacro del ministro
Prina: fu così che il 23 aprile il viceré dovette firmare a Mantova la
capitolazione. Il 26 aprile 1814 il commissario austriaco Annibale Sommariva
prendeva possesso della Lombardia a nome del feldmaresciallo Bellegarde, e il
28 aprile Milano veniva occupata da 17.000 soldati austriaci.
Il 25 maggio Bellegarde sciolse
la Reggenza del Regno d’Italia, che cessava di esistere, e assunse i poteri
come Commissario plenipotenziario delle province austriache in Italia
per il nuovo sovrano, l’Imperatore Francesco I d’Asburgo. Il 12 giugno assunse
la carica di Governatore generale in conseguenza dell’annessione della
Lombardia già milanese all’Impero, proclamata il giorno stesso.
Degli atti del Regno Italico non si trovano tracce negli atti del comune di San Donà.
Vi sono soltanto alcuni elenchi di creditori per prestazioni militari,
e di malviventi sorvegliati, nonché delle attestazioni di empirici sulle malattie del bestiame.
I primi elenchi, di pugno di Girolamo Fantoni portano la data 28 febbraio 1815
e sono diretti al Podestà di S. Donà per la commissione liquidatrice di Venezia.
Le prestazioni sono così classificate:
— Imposta straordinaria con ordinanza 29 novembre 1813
— Imposta gettito straordinario con ordinanza 12 gennaio 1814
— Imposta delle requisizioni per il blocco 18 febbraio 1814
— Imposta fondiaria 15 aprile 1814
— Tassa Arti e Commercio
— Tassa Animalia.
Le famiglie in questi elenchi tassate sono quasi tutte emigrate o estinte.
Esistono ancora i discendenti delle seguenti: Ambrosin, Bergamo, Barbini, Bortolotto,
Baldo, Bisson, Callegher, Deo, Dall'Oro, De Nobili, Giacomel, Mestre, Marchese,
Marigonda, Mengo, Molin, Nardini, Pasini, Rossi, Rozzino, Salmasi, Trentin,
Tonon, Trevisan, Zecchin, Zanin. Nell’elenco delle persone pericolose
si trova un nome con la nota caratteristica di violento. Di esso esistono
discendenti che conservano tale caratteristica!
Il Congresso di Vienna
La caduta di Napoleone avrebbe
dovuto, nei piani delle Potenze vincitrici, riportare l’Europa a quella che era
prima del 1789, senonché la profondità dei cambiamenti portati dalla conquista
francese, unita ad alcuni vantaggi territoriali che qua e là le antiche
dinastie avevano ottenuto negli ultimi cinque lustri, consigliarono
l’apertura a Vienna di un grandioso Congresso
per la risistemazione dell’Europa.
L’Austria poté riannettere sotto
il suo governo diretto i territori italiani che le appartenevano da lunga data
per dominio diretto, cioè Trento, Trieste e Gorizia, o indiretto, come l’antico
Ducato di Milano (Milano, Como, Pavia, Lodi, Cremona) e il connesso Ducato di
Mantova, annessione sancita giuridicamente il 12 giugno da un proclama di
Bellegarde, ripetitivo di una sanzione imperiale del giorno 7; ma,
differentemente, l’antica Repubblica di Venezia, per la quale l’unico diritto
risaliva al disconosciuto Trattato di Campoformido (1797), non potè avere
medesima sorte: lì l’annessione allo stato austriaco fu legittimata unicamente
dall’accordo delle potenze vincitrici al Congresso di Vienna, e fu ottenuta a
fronte della rinuncia ai diritti dinastici degli Asburgo sui Paesi Bassi
cattolici (l’attuale Belgio): Napoleone nel 1797 aveva ceduto il Veneto
all’Austria per avere il Belgio, ora l’Austria rinunciava al Belgio per tenersi
il Veneto. Per comprendere l’utilità, per Vienna, dello scambio, basti
ricordare quel che sosterrà Carlo Cattaneo, cioè che dal ‘Lombardo-Veneto’
Vienna traeva un terzo delle gravezze
dell’impero, benché esso facesse solo un ottavo della popolazione.
“Apertesi le
trattative intorno alle cose d’Italia, e volendo quivi, siccome ne faceva
pubblica promessa il congresso viennese, incominciare le sue decisioni da un
grande atto di giustizia, statuì che l’Austria rientrerebbe in possesso
di Milano e di Mantova; altresì gli Stati veneti di terraferma
con la giunta di alcuni territorii che, per antichi accordi fra i potentati
italiani, appartennero un tempo agli Stati di Parma e di Ferrara; acquisterebbe
ancora, non solo le terre della Valtellina con le contee di Bormio e di
Chiavenna, siti molto opportuni a sopravvedere dappresso le cose della
Svizzera, ed in caso di bisogno, introdurvi dissensioni, ma più lungi, in fondo
alla Dalmazia, quelle che una volta componevano la repubblica di Ragusi”.
I territori già veneti sulla
costa orientale adriatica furono dunque aggregati direttamente all’Austria, ma
Milano e Venezia erano tradizionalmente legittimate, per antica consuetudine, a
godere di governi autonomi (anche se, nel caso di Milano, sotto sovrano
straniero). Occorreva quindi riorganizzare tali territori in una entità
amministrativa apparentemente autonoma, anche se unita all’Austria dalla
persona del sovrano. La soluzione scelta fu di creare un unico Regno con una
capitale e due governi, cui venne dato il nome di ‘Regno Lombardo-Veneto’.
Confini del Regno Lombardo-Veneto
Il nome venne scelto ad esito di
un, non breve, dibattito. Gli austriaci (o i loro alleati) non vollero
conservare il nome scelto da Napoleone, Regno d’Italia. Vi sono evidenze che si
prese in considerazione la dizione Ost und West Italien (Italia
orientale ed occidentale), e perfino österreichische Italien (Italia
austriaca). Vennero infine scartate dizioni eccessivamente legate a una delle
due capitali o regioni: d’altra parte, Milano e le Venezie non erano mai state
unite sotto un’unica corona sin dalla caduta del Regno Longobardo e non
esisteva alcun termine per definire unitariamente i due territori. Si preferì
quindi pronunciarle entrambe, con l’intento di stimolare un senso di
avvicinamento che rendesse possibile un futuro unitario tra le popolazioni
lombarde e quelle venete. La difficile onomastica segnalava bene, tuttavia, la
artificiosità della nuova creazione amministrativa.
Il 7 aprile 1815 veniva annunciata la
costituzione degli Stati austriaci in Italia in un nuovo Regno del
Lombardo-Veneto. In base al Trattato di Vienna esso aggregava i territori
dei soppressi Ducato di Milano, Ducato di Mantova, Dogado e Domini di
Terraferma della Repubblica di Venezia, oltre alla Valtellina già parte della
Repubblica delle Tre Leghe, e all’Oltrepò ferrarese già pontificio, mentre lo
Stato da Màr, già sottoposto alla Serenissima, ne fu invece escluso
incorporandolo direttamente ai territori dell’Impero.
Il Regno fu affidato a Francesco I d’Asburgo-Lorena, Imperatore
d’Austria e re del Lombardo-Veneto.
A sinistra: ritratto di Francesco I, primo sovrano del Lombardo-Veneto,
fino alla sua morte nel 1835.
Il re e
imperatore avrebbe governato attraverso un viceré, con residenza a Milano e a
Venezia, nella persona dell’arciduca Ranieri che era austriaco e fratello
dell’Imperatore.
Rivoluzione amministrativa
Stava per cambiare il mondo, quello politico-amministrativo, almeno.
Lombardia e Veneto, separate dal Mincio, ebbero ciascuna un proprio Consiglio
di Governo, affidato a un governatore, e distinti organismi amministrativi
detti Congregazioni Centrali, alle cui dipendenze stavano le
amministrazioni locali, tra cui le Congregazioni Provinciali e le Congregazioni
Municipali.
Le competenze del Governatore,
attraverso il Consiglio di Governo, erano assai ampie e riguardavano: censura,
amministrazione generale del censo e delle imposizioni dirette, direzione delle
scuole, lavori pubblici, nomine e controllo delle Congregazioni Provinciali.
Oltre, naturalmente, al comando dell’esercito imperiale stanziato nel Regno,
che, negli anni successivi si sarebbe occupato soprattutto di garantire
l’ordine pubblico.
L’amministrazione
finanziaria e di polizia, infine, era sottratta al Consiglio di Governo e attribuita
direttamente al governo Imperiale a Vienna, che agiva attraverso un Magistrato
camerale (Monte di Lombardia, zecca, lotto, intendenza di finanza, cassa
centrale, fabbricazione di tabacchi ed esplosivi, uffici delle tasse e dei
bolli, stamperia reale, ispettorato dei boschi e agenzia dei sali), un Ufficio
della Contabilità, una Direzione generale della Polizia.
Considerata
la eccezionale centralizzazione del potere nelle mani del Governatore, nominato
da Vienna, e del governo imperiale, ben si comprende come il ruolo del Viceré
fosse assai marginale, ridotto a mera rappresentanza. A tal fine egli manteneva
splendidi palazzi, ove teneva corte.
Tutte le alte cariche del Regno erano, naturalmente, di nomina regia, mai elettive.
In gran parte erano affidate ad austro-tedeschi e comunque tutti
austro-tedeschi furono, sempre, i governatori, la grandissima parte degli
ufficiali stanziati in Italia (mentre la truppa rispecchiava l’eterogenea
composizione delle popolazioni dell’impero) e il Viceré: i forestieri godevano,
quindi, del controllo quasi assoluto sulla vita del Regno. (Famoso, a tal
proposito, un colloquio del 1832 fra il nobile lombardo Paolo de’ Capitani e
Metternich: “Che necessità c’è di far occupare ogni posto notevole da
Tirolesi e da sudditi di altre province?”)
Al
patriziato locale, italiano, non restava che il governo delle
Congregazioni provinciali e municipali,
cioè posizioni assolutamente secondarie. Le Congregazioni municipali, ad
esempio, curavano solamente la manutenzione di edifici comunali, chiese
parrocchiali e strade interne, gli stipendi dei propri dipendenti e della
polizia locale.
A sinistra la suddivisione provinciale del Regno.
Ogni Provincia fu suddivisa in distretti (in tutto 127 in
Lombardia, 91 nel Veneto), ogni distretto suddiviso in comuni, cellule di base
dell’amministrazione pubblica.
La burocrazia stava per aumentare a dismisura.
Decreti su tutto
Arrivarono i primi decreti. Il 5 agosto 1815 il Governo austriaco decretò
che le Amministrazioni Comunali vigilassero sulle adulterazioni dei generi
alimentari e permettessero la macellazione dei suini e degli ovini solo da
ottobre ad aprile. Un secondo decreto il 5
ottobre vietò la navigazione sui fiumi nottetempo, durante le piene, ed
impose ai barcari [=proprietari di barche da carico] di farsi rilasciare
dalle autorità comunali un «Atto di autorizzazione a patronaggio», cioè una
licenza di trasporto.
[ALBERTI L., Quadro del sistema di commercio vigente
nelle Provincie Venete nell’anno 1823]
Applicazione del decreto di ripartizione
I comuni del VII distretto erano: S. Donà, Fossalta, Noventa, Cava Zuccherina, Ceggia, S. Stino.
Non furono
rispettati i confini ecclesiastici: il distretto di San Donà di Piave
abbracciò paesi sottoposti a tre diocesi diverse: Treviso, Venezia e Ceneda.
Il governo si riservava qualche rettificazione dei confini qualora l’esperienza l’avesse
mostrata necessaria.
“Il programma del governo austriaco si ispirò ad
un unico concetto: dare un po’ di vita a Venezia, limitata ormai alla sola
capitale ed a pochi paesi del vecchio Estuario. Si ebbero delle proteste da
parte dei paesi che si videro soggetti a due giurisdizioni (ecclesiastica e
civile) diverse: vecchie tradizioni e interessi ormai acquisiti reclamavano,
specialmente in ordine alle parrocchie soggette al Vescovo di Treviso, il
rispetto a consuetudini inveterate e la continuazione dello statu quo. Si
conserva ancora, nell’archivio di Curia, copia delle istanze che si
presentarono in proposito, e delle proteste un po’ forti per le intromettenze,
certo esagerate, che si sospettavano fossero pervenute dalla capitale del
vecchio dominio veneto: istanze e proteste a nulla valsero. e lo sdoppiamento
dei confini si impose per principi politici e per interessi regionali; si
mantiene e si conserva anche oggi.” [Chimenton]
Il ritorno del governo austriaco però non poté spegnere
il fuoco della libertà acceso nei petti dalla rivoluzione,
e benché si abolissero le leggi napoleoniche,
pur tuttavia i maggiori privilegi non poterono ristabilirsi. Tutto accennava alla continuazione
dell’era nuova della nuova vita piena di fede nella realizzazione degli ideali di patria e libertà,
e le spietate repressioni dell’assolutismo non facevano che accrescere gli entusiasmi. [Plateo]
San Donà mantenne la sua posizione
di capoluogo di distretto (il VII) e incorporò il centro abitato di Musile, che ne divenne frazione,
e parte del territorio di Grisolera (l'attuale Eraclea), aumentando così la
superficie del territorio comunale. La cittadina non ebbe più un Vice Prefetto ma
fu sottoposta a un Cancelliere del Censo.
L’amministrazione
A seconda della loro
popolazione, i Comuni potevano appartenere a tre classi differenti: i Comuni di
I classe, cioè i capoluoghi controllati direttamente dalle Delegazioni
Provinciali, avevano un Consiglio Comunale di non più di 60 membri; i Comuni di
II classe, dotati di un Consiglio Comunale di almeno 30 membri, erano
sottoposti ad un Cancelliere del Censo; i Comuni di III classe, i più piccoli,
erano diretti dall’Assemblea dei proprietari (i Censiti) che si
riuniva una volta l’anno, alla presenza del Cancelliere del Censo, per nominare
i funzionari e per approvare il bilancio e i tributi, mentre nella restante
parte dell’anno venivano delegati tre proprietari per l’ordinaria
amministrazione.
Il I gennaio 1816 entrarono in vigore i codici civile e penale austriaci.
Lo stesso anno un
nuovo decreto affidò l’amministrazione dei Comuni a un Convocato Generale
e alla Deputazione Comunale. Il Convocato Generale era il massimo organo comunale, avendo
tutti i poteri già detenuti dal napoleonico Consiglio Comunale, ed era composto
da tutti i possidenti (maggiorenni e residenti in loco) soggetti a estimo,
cioè iscritti nel ruolo delle
imposte. La Deputazione Comunale, avente funzioni di una Giunta, era composta di
tre membri, risultati eletti a scrutinio segreto dal Convocato fra i suoi
appartenenti: chi riportava il maggior numero di voti assumeva il titolo di
Primo Deputato, carica corrispondente alla odierna di Sindaco. Assisteva un
agente, odierno segretario, più cursori, cioè personale stipendiato dallo
Stato.
I capifamiglia del
paese furono di nuovo chiamati a prestare sul Vangelo un solenne giuramento di
fedeltà all’imperatore d’Austria. Un decreto governativo ribadì il divieto di
vendita di ogni tipo di arma da fuoco.
[A.S.V., Frammenti podestà di Caorle (1754-1830)]
1816: Una
persistente piovosità da maggio a luglio infracidì i raccolti e provocò la
carestia. Gli speculatori aggravarono l’indigenza incettando le poche biade e
rivendendole a prezzi astronomici.
Dal tardo autunno al
nuovo raccolto la popolazione soffrì le angosce della fame e l’alimentazione
insufficiente (qualche manciata di polenta scondita) causa il dilagare della pellagra
[F. MUTINELLI, Annali delle provincie venete.]
Col passar dei mesi i
sudditi veneti e lombardi si resero conto che il nuovo Regno del
Lombardo-Veneto era poco più che una finzione: il potere era affidato al
governo viennese, i ‘tedeschi’ erano onnipresenti e sottraevano al patriziato
ed agli intellettuali italiani grandi spazi che, in un regno realmente
autonomo, sarebbero spettati loro. Sotto il Regno d’Italia, retto sì da un Re
(Napoleone) e da un viceré (Eugenio) francesi, che ne avevano fatto un
protettorato di Parigi, veneti (e lombardi) godevano almeno di una
amministrazione autonoma e quasi totalmente nazionale, come pure di un esercito
nazionale, ove numerosi erano gli ufficiali italiani.
Ancorché efficiente,
pareva ai più che il Governo austriaco, non rispettando i diritti tradizionali
di Venezia, non godesse di alcuna legittimità. Comunque prese decisioni
significative per l’evoluzione della vita civile. Nel 1817
impose l’adozione
del sistema metrico decimale dei pesi e delle misure al fine di
razionalizzare e uniformare i molti sistemi in uso. Contemporaneamente un
apposito decreto vietò «le stadere con
asta di legno poiché si prestano a molte frodi»
[L. ALBERTI, Quadro
del sistema di commercio vigente nelle Provincie Venete nell’anno 1823]
Poco poté invece contro il tifo che da febbraio a novembre il tifo imperversò
in tutta la zona. [Venezia, Archivio del patriarcato di Venezia, b. 2B-XXV]
Il 9 settembre 1817 in Venezia
morì il vescovo di Treviso, Marin, alla veneranda età di 77 anni.
“Ai 10 fu il
cadavere trasportato a Treviso, e precisamented a tutto il clero ricevuto alla
porta Altinia e condotto in Duomo ivi tumulato, previo sontuoso funerale,
concorso di popolo, di messe e funebre apparato e con universale plauso le fu
recitatal’orazione funebre dal celebre don Jacopo Monico, degnissimo maestro di
retorica accademica e bibliotecario in Seminario di Treviso”.
[De Gobbis, Diario]
Il governo austriaco indicò come
nuovo vescovo monsignor Jappelli, che fu però ricusato dal Vaticano. Iniziò una
lunga vacanza per la diocesi, retta dal vicario Giovanbattista Rossi.
Il
malcoltento contro il governo austriaco si manifestò contro decreti che
abrogavano antiche consuetudini, quale ad esempio, sempre nel 1817, quello che
vietava di suonare le campane di notte durante i temporali, imposto ai
campanari sotto pena di perdere il posto.
Altro malcontento era dovuto all’eccessiva lunghezza del servizio militare (8
anni) e all’uso corrente di mandare le reclute in lontane guarnigioni (in
Ungheria o in Croazia).
Paradossalmente
furono proprio le autorità austriache a favorire la formazione di una coscienza
nazionale adottando una linea politica piena di sospetti e censure ai limiti
del ridicolo, applicando offensive limitazioni delle libertà personali e
soprattutto appoggiandosi ad un rigido ed ottuso sistema poliziesco.
La bolla di Pio VII del 1° maggio 1818 subordinò la diocesi di Treviso, ancora
senza vescovo, a quella metropolitana di Venezia, imponendo a tutti i parroci
di prestare fedeltà all’imperatore, depurando dal catechismo nazionale le
risposte che si riferivano all’obbedienza e agli altri doveri verso Napoleone,
conservando però alla domanda: Per quale ragioni siamo noi tenuti a questi
doveri verso l’Imperatore e Re nostro? la risposta:
Primieramente perché Dio il quale crea gli imperi
e li distribuisce secondo il suo vlere ricolmando di doni l’Imperatoree Re
nostro tanto in pace quanto in guerra, lo ha stabilito nostro sovrano, lo ha
reso ministro della sua potenza a sua immagine sopra la terra. Onorare dunque e
servire l’Imperatore e Re nostroè onorare e servire Dio steso. In secondo luogo
perché nostro Signore Gesù Cristo, tanto con la sua dottrina quanto co’ suoi
esempi, ci ha egli stesso insegnato quello che noi dobbiamo al nostro sovrano.
Egli è noto nell’atto di obbedire a Cesare Augusto: egli ha pagato il
prescritto tributo; come egli ha comandato di rendere a Dio ciò che appartiene
a Dio, così ha ordinato di rendere a Cesare ciò che appartiene a Cesare.
8 luglio 1818: CRAC NELLA STORIA DI CROCE
La rettifica dei confini dei Comuni che il Governo
si riservava di apportare nel 1815
giunse nel luglio del 1818. E sancì il CRAC nella storia di Croce:
i Comuni del distretto di San Donà erano dunque S. Donà, Grisolera di sopra, Musile,
San Michele del Quarto, Fossalta, Meolo, Noventa, Cava Zuccherina, Ceggia.
Avete letto bene: Musile e non Croce. Fu Comune Musile e non lo fu Croce.
Eppure Croce era più estesa e aveva più abitanti e più storia di Musile, ma per qualche
ragione Croce da quel momento "fece parte del Comune di Musile".