Quando che comandava i Todeschi
Con il riassetto amministrativo dell'8 febbraio 1818 la provincia di Venezia acquistava un assetto
più razionale e aderente alla realtà (se escludiamo il fatto che fu nominato comune il piccolo Musile e non la più estesa
e popolosa Croce).
La nuova perimetrazione ridusse il territorio di San Donà,
riconducendolo nei limiti dei suoi confini tradizionali, e diede al suo distretto quella ripartizione
che, grosso modo, conserva tuttora (anche se oggi non vi è più soluzione di continuità tra
San Donà, Musile, Noventa e Fossalta, e una tale suddivisione risulta oggi del tutto fuori tempo).
Non appena fu stabilita la riorganizzazione territoriale una sovrana patente
regolamentò la forma amministrativa dei comuni. Le classi, che prima erano tre,
diventarono quattro, valutate in rapporto
alla popolazione, e fu istituito un diverso tipo di amministrazione locale
a seconda della classe di appartenenza.
San Donà fu il solo comune del distretto ad essere valutato di classe III, poiché tutti gli altri furono assegnati
alla IV. Pertanto il comune di San Donà di Piave fu retto da un Consiglio Comunale fomato dai 30
maggiori estimati del Comune che nominava l'esecutivo.
Questo era formato da una Delegazione Comunale di 3 membri, scelti a scrutinio segreto
dai Consiglieri fra i membri del Consiglio. Fra questi, quello che aveva riportato il maggior numero di voti assumeva
il titolo di Primo Delegato (corrispondente a quello attuale di Sindaco).
Gli estimati erano coloro che possedevano beni per cui erano soggetti a estimo, cioè pagavano imposte.
Si trattava pertanto di un sistema molto selettivo e classista in quanto in San Donà gli elettori
(cioè gli estimati) erano poco più di un centinaio e negli altri comuni ancora meno.
Il Consiglio veniva rinnovato ogni triennio, in basi ai ruoli estimati, e si riuniva ordinariamente due volte l'anno
(nei mesi di gennaio e settembre). I Deputati restavano in carica per il triennio
e potevano essere rieletti.
Infine le Deputazioni si avvalevano dei servizi di personale stipendiato:
un Agente Comunale (ossia un Segretario Comunale) e uno o più Cursori (impiegati).
Nella sua qualità di Comune capo distretto San Donà divenne sede di più organismi.
Nel 1818 venne istituita la Pretura per decreto 1° marzo, in seguito alla soppressione
dell’ufficio di Pace di Burano; e fu confermata la sede notarile.
L'anno dopo (1819) fu insediato il Commissariato distrettuale
(che sostituiva l'abolita Vice Prefettura) e il Commissario distrettuale sostituì
il Cancelliere del Censo;
fu distaccata in paese una sezione dell'Imperial Regia (K.u.K) Gendarmeria. Onore questo di cui
i sandonatesi avrebbero volentieri fatto a meno stante il carattere gretto e sospettoso
sino a rasentare il ridicolo della Polizia austriaca.
Del ciclo epico della repubblica marittima, nata in questo territorio, non rimaneva che
una lontana memoria. Qualche studioso di storia patria si compiaceva di ricordare che Alvise Mocenigo
fu il primo a concepire l’idea dell’unità nazionale proponendo nel secolo XVI
il grido di guerra «Italia libera» e il motto «Defensio Italiae» sugli stendardi delle milizie veneziane.
I gentiluomini veneziani presto furono aggiogati al carro del dominatore austriaco,
e così l’Italia assistette al triste spettacolo delle feroci condanne
contro i membri di società patriottiche, come i carbonari e tanti altri grandi ribelli
e veri eroi, e della contemporanea nomina a conti dell’impero austriaco
di quasi tutti i vecchi patrizi veneziani rifugiati sotto le ali dell’aquila bicipite.
Ocorre ricordare che il patriziato veneziano era diviso in due categorie: vi era
la nobiltà delle case vecce dette dei «longhi» acquistata ai tempi dei tribuni,
prima del 697, e la nobiltà delle case nove dei «curti» acquistata più tardi.
Nella prima figurano i Bragadin, Contarini, Correr, Morosini, Giustinian ecc.,
nella seconda Grimani, Gritti, Michel, Mocenigo, ecc.
Il Diario dei Martiri Italiani dal 1176 al 1870 di Gabriele Fantoni,
e l’Elenco ufficiale della nobiltà veneta ne sono la prova parlante.
Da questo Elenco ufficiale
(che sarà approvato con R. decreto il 19 dicembre 1897, N. CCCCXXV parte supplementare),
risulterà che saranno creati Conti dell’Impero Austriaco dal 1818 al 1825
i seguenti: Bragadin, Canal, Contarini, Correr, Donà, Emo, Falier, Giustinian,
Gradenigo, Grimani, Gritti, Michel, Morosini, Nani, Mocenigo, Persico, Pellegrini,
Papadopoli, Soranzo, Tiepolo ed altri.
Più tardi dal 1840 al 1857 Bembo, Mocenigo, Martinengo, Zeno, ecc.
È del 1819 Lodovico Manin figlio dell’ultimo doge ascritto al libro d’oro del 1651.
Nuovo tempio
Nonostante la burrasca Napoleonica simil-illuminista, o per via del ritorno dell'alleanza trono-altare
cara agli Austriaci, o forse per l'una e l'altra cosa che dovevano aver destabilizzato
molte delle sicurezze dei sandonatesi,
nel 1821, auspice l'arciprete Monsignor Angelo Rizzi, che morì decano capitolare
a Treviso con grandi onori,
fu collocata la prima pietra della nuova chiesa che avrebbe sostituito
quella fabbricata dai Trevisan, che fu demolita.
Questo tempio era reclamato anche dall’aumento di popolazione,
oltreché dalle condizioni rovinose del vecchio. La costruzione sarebbe andata un poco per le lunghe.
Spoil system e sistema occhiuto
Che gli austriaci non intendessero lasciare alcuna
carica ai veneti, o perlomeno agli italiani, nemmeno religiosa, lo dimostra il
fatto che nel 1822 imposero come vescovo
di Treviso il tirolese Giuseppe Grasser
Nato da Joseph e Barbara Veihl, era entrato
giovanissimo nel seminario di Merano,
città allora sottoposta alla diocesi di Coira. Ordinato sacerdote nel 1806, in un primo tempo
aveva svolto l'attività di cooperatore, vicario e parroco ma, conclusi gli studi all'università
di Innsbruck, si era dedicato all'insegnamento, arrivando alla carica di direttore generale dei ginnasi del Tirolo.
Candidatosi alla cattedra di teologia morale presso l'università di Innsbruck,
dovette lasciare il mondo accademico perché Francesco I, con l'assenso della Santa Sede,
lo volle vescovo di Treviso. Preconizzato nel 1822, fu consacrato l'anno successivo
dal patriarca di Venezia Giovanni Ladislao Pyrker e il 19 marzo 1823 prese possesso della diocesi di Treviso.
Prima però di stabilirsi
nella sede episcopale, trascorse alcuni mesi a Rovereto ospite dell'amico
Antonio Rosmini per impratichirsi con la lingua italiana.
Fu accolto con tutti gli onori dal popolo di Treviso, ai quali era giunta la
sua fama di intellettuale, letterato e teologo (ma anche perché attendevano
un nuovo vescovo da sei anni). Il Trevigiano era un territorio che ben tollerava
il regime Austriaco, benché, soprattutto tra il clero, cominciassero a diffondersi
idee anti-asburgiche. Grasser si ritrovò quindi a fare da tramite tra l'imperatore,
con cui aveva ottimi rapporti, e gli abitanti; provvedeva a diffondere i dispacci del governo,
ma anche a correggere o rifiutare gli ordini che riteneva ingiusti. Si distinse
inoltre per il suo spirito caritatevole nei confronti dei più deboli
e si prodigò per la diffusione dell'istruzione e della cultura.
Diede inoltre nuovo lustro al seminario della diocesi, animandone l'attività
con frequenti visite e presiedendo alle sessioni di esame. Curò particolarmente
la biblioteca e spinse per un corpo insegnante competente, invitando i chierici
a frequentare i corsi del seminario centrale di Padova. I suoi interventi
ebbero gli effetti sperati, tant'è che gli fu unito il ginnasio pubblico di Treviso.
Nell'ottobre del 1823 ci fu un'alluvione della Piave.
Fra le disposizioni imposte dall’I R. Governo di
Venezia, una delle più odiose, e che eccitò ovunque l’indignazione fu la
disposizione del 16 settembre 1825 con cui si proibì il clandestino
trasporto delle lettere private per il timore di propaganda anticostituzionale.
La disposizione fu letta in chiesa a San Donà [Arch. di Curia di
Treviso, Busta S. Donà, fascic. Congregazione di S. Donà
e suo Vicinato, Doc. a stampa, ed. Giuseppe Gattei, tipografo
dell’Eccelso Governo Il. 12897-3175, C. VIII.], .
«L’abuso introdottosi del clandestino trasporto di
lettere private, in sommo pregiudicio del sovrano Erario, ha condotto l’Eccelsa
I. R. Camera Aulica delle Finanze a determinare con ossequiato dispaccio 18
agosto 1825, n. 32375-1253: a) che a datare dal primo ottobre 1825 la multa
per le lettere che verranno trovate in contravvenzione alle vigenti leggi
postali, sia fissata a L. 3 (tre) austriache per cadauna lettera a carico del
contravventore, oltre il pagamento della tassa di porto devoluta
all’amministrazione postale; b) che la metà dell’importo della multa rimanga a
vantaggio della stessa amministrazione, l’altra metà vada a profitto
dell’inventore, subito che sia stato giudicato legale il fermo. Il Governatore:
Co. Carlo d’Inzaghi»
1825: chiuso il cimitero vecchio. Nuovo cimitero
Nel 1825 il cimitero vecchio vicino alla chiesa fu chiuso e s’incominciò a deporre i morti
in quello costruito fuori dell'allora centro abitato,
tra le attuali via Maggiore, via Ciceri, via Cian e via Don Bosco,
sotto la vigilanza dell'autorità civile, in relazione alle leggi napoleoniche
(decreto del governo francese 23 aprile 1804) esteso a queste provincie più tardi.
Nell’inverno del 1825 ci
pensarono i fiumi a dimostrare maggiore rivoltosità: molti corsi d’acqua del
Veneto disarginarono, in dicembre la Piave ruppe in 12 punti
allagando tutta la plaga. Sulla sinistra ruppe a Salgareda, a Sabbionera, a Noventa;
sulla destra ruppe a Sant'Andrea di Barbarana, a Zenson, a Musile.
Al proposito la
Gazzetta Privilegiata di Venezia (nr. 179 del 1826) riportava che essendosi il
Viceré: «degnato di voler prendere cognitione delli impiegati e de’ privati che
si sono distinti nell’impedire o attenuare i mali a cui andarono soggette
queste Provincie all’occasione di quelle piene de’ fiumi, si compiacque di
estendere la di lui soddisfazione verso coloro che in tali luttuose circostanze
diedero esempi singolari di pietà e di coraggio ». L’articolo proseguiva
elencando le persone distintesi e fra queste cita: ... Antonio Berti, già
Commissario Distrettuale di San Donà... I signori Mantovani e Trentin di San Donà...
Il giornale concludeva
osservando che: «a tutti i nominati individui fu in attestato della pubblica
riconoscenza fatta conoscere per ordine di S.A.I. il Serenissimo Arciduca
Vicerè la soddisfazione del Governo ».
Nuovo vescovo
Il vescovo
Grasser fu trasferito alla diocesi di Verona e s’era in attesa del
successore. Il Grasser aveva segnalato come suo possibile successore il suo
vicario generale, monsignor Sebastiano Soldati (ritratto a sinistra), che i canonici avevano tra
l’altro scelto come vicario capitolare.; gradito al governo austriaco e alla
Santa Sede, il Soldati fu in effetti scelto dall’imperatore il 12 ottobre 1828
e sarebbe stato confermato da Roma il 18 maggio 1829.
Un servizio di posta
San Donà era attraversata da un «servizio di
posta» che collegava Torre di Mosto con Venezia gestito dalla famiglia
Busato [controllare il cognome] di Torre di Mosto. Il servizio era espletato
con grosse carrozze chiuse trainate da quattro cavalli e si svolgeva con 3
corse settimanali da Torre a Venezia (lunedì - mercoledì - venerdì) e tre in
senso inverso (martedì - giovedì - sabato);
la diligenza portava i passeggeri e la corrispondenza da Tre Palade
(ove attraccavano i battelli provenienti da Venezia) a Croce di Piave
(ove era traghettato il Piave) e quindi a Grassaga, Ceggia e Torre di Mosto. La
famiglia gestiva un servizio analogo Torre-Caorle, con coincidenza a Torre con
quello per Venezia.
Chissà come arrivò
da Treviso la lettera pastorale che quell’anno il vescovo inviò ai parroci
invitandoli a passare casa per casa per spronare i figli alla dottrina.
Ordini arrivavano da
tutte le parti. Nel 1831 il Governo
austriaco emanò l’obbligo della chiusura delle chiese al tramonto, unitamente
al divieto di officiare funzioni religiose notturne.
[Gazzetta privilegiata di Venezia]
Il censimento del 1831
Confrontiamo i dati con quelli del 1766. Colpisce la grande crescita demografica di San Donà.
1766 | Comune | 1831 | +/- | % |
3.187 | San Donà di Piave | 4.606 | +1.419 | +30,9% |
1.464 | Cava Zuccherina | 1.703 | + 239 | +14% |
1.263 | Ceggia | 1.225 | - 38 | -3,1% |
1.371 | Fossalta di Piave | 1.590 | + 219 | +13,8% |
1.762 | Grisolera | 1.113 | - 649 | -36,9% |
1.675 | Meolo | 1.392 | - 283 | -16,9% |
1.171 | Musile | 1.283 | + 112 | +8,8% |
2.202 | Noventa | 2.176 | - 26 | -1,2% |
524 | San Michele del Quarto | 622 | + 98 | +15,8% |
1.508 | Torre di Mosto | 1.120 | - 388 | -25,8% |
16.127 | Totale del Distretto | 16.830 | + 703 | +4,2% |
Dal 1835 al 1836 dilagò il colera. Fu un'epidemia piuttosto grave, e per la durata (due anni)
e per la mortalità, così elevata da obbligare, nei momenti più critici, a seppellire le vittime
in fosse comuni. Fra le molte ordinanze emanate in tale occasione una vietò la vendita
di cape e masanette e un'altra quella del vin novello, pensandosi che favorissero la duffusione
del morbo.
[MUTINELLI F. "Annali delle provincie venete dall'anno 1801 al 1840", Venezia, 1843]
San Donà fu tra i centri più colpiti, secondo quanto asseriva il vescovo di Treviso, Soldati, in una
lettera indirizzata alle autorità governative
Durante la prima metà del XIX secolo il centro urbano si arricchì di palazzi,
costruzioni commerciali e finalmente fu completato il nuovo Duomo, realizzato
dall'architetto Giovanni Battista Meduna tra il 1838 e il 1841 su progetto di Antonio Diedo.
Al Meduna si deve anche il progetto del campanile, che sarebbe stato costruito posteriormente.
La facciata però non venne eseguita. Il costruttore, capomastro Patrizio da Portogruaro,
meritò infiniti encomi per la diligenza, ed ebbero lodi meritate i decoratori.
Nel 1841 si diffuse il vaiolo.
Cognomi di nobili e borghesi tra i Censiti
I nomi che si trovano alternati nei trenta consiglieri assegnati
al comune di S. Donà come principali censiti (dal 1830 a 1845)
sono i seguenti: Bembo Co. Giovanni, Cornaro Co. Luigi, Da Mula Co. Antonio, Foscolo Nob. Leonardo,
Giustinian Recanati Co. Angelo, Martinengo Co. Girolamo, Pisani Co. Gerardo,
Zen Co. Alessandro, tutti patrizi veneziani; Barbero, Bianchi, Bombasei, Bottini,
Buodo, Corradini, Costantin, Fracasso, Loschi, Manfrini, Mantovani, Morossi, Piazza,
Spessa, Talotti, Veronese, Zambellini e Zilli della borghesia.
In pochi anni molti di quei nomi, in particolare della lista dei nobili, spariranno tutti.
Nel 1842 avvenne la consacrazione solenne del duomo, compiuta dal vescovo Sebastiano Soldati.
Il campanile invece dovette attendere altro mezzo secolo il suo compimento.
1848: primavera dei popoli
Venuto il 1848, San Donà, come altri paesi, ebbe i suoi cospiratori segreti, che seguirono
con vivissimo interesse il movimento politico che sfrattò le milizie austriache.
Quando, successivamente all'insurrezione veneziana contro il governo austriaco,
il 22 marzo 1848 Daniele Manin e Niccolò Tommaseo proclamarono la Repubblica di San Marco,
la cittadinanza di San Donà fu la prima a rispondere, aderendo alla nuova repubblica
già il giorno seguente, il 23 marzo; e
durante l'eroica resistenza di Venezia, fu centro attivo di segrete intese per favorire
i fratelli assediati. Alla partenza delle truppe straniere da Venezia
qui pure fu costituita, in data 1° aprile 1848, la guardia civica per il servizio di sicurezza
locale con a capo i signori: Trentin Giorgio comandante, Pieresca Federico e Cian Alberto capitani,
Trentin Vincenzo, Janna Lorenzo, Ferraresso Francesco, Scotto Luigi,
Padovan Domenico, Chinaglia Vincenzo, Trentin Angelo, Bottani Vincenzo,
Binelli Francesco, Boccato Francesco, ufficiali subalterni.
Molti cittadini accorsero alla difesa di Venezia, ma il primo entusiasmo fu presto
represso dalla occupazione militare austriaca, che piantò qui il quartier generale,
infliggendo alla cittadinanza atroci umiliazioni. L’ufficialità, nei luoghi
frequentati da persone civili, e la truppa nelle bettole, con orgoglio di vincitrice,
risentimento di offesa e burbanza di padrona, insultava i cittadini imponendo
spesso di ritirarsi nelle loro case: il clero strapotente obbligava ogni ceto di persone
ad assistere alle funzioni religiose e alla confessione annuale, che doveva provarsi
mediante analoga attestazione. Guai a chi avesse osato una parola di protesta,
un gesto di sdegno, un distintivo sospetto, un accento d’italianità, un’esitanza ad obbedire.
La detenzione di più di un’arma, anche inservibile, bastava per essere fucilati. Molti episodi,
che provano il patriottismo della popolazione, si narravano fino a ieri e si ricordano
ancora oggi dai vecchi, fra cui l'eroica fine di quell'Antonio Cimetta da Portogruaro,
qui residente, trovato in possesso di un vecchio archibugio e sospettato d’italianità,
condannato alla fucilazione, dal consiglio di guerra presieduto dal Colonnello Radetzky,
figlio del famoso maresciallo. L’esecuzione capitale ebbe luogo qui il 14 gennaio 1849,
presso l’argine del Piave, di fronte all’abitazione Guarinoni. Il Cimetta, circondato
da’ suoi carnefici, che lo accompagnavano all’estremo supplizio incitandolo
a rivelare i nomi dei cospiratori che si servivano di lui per corrispondere
col governo provvisorio di Venezia, approfittò dell’ultimo istante di vita
per gettare in aria il berretto e gridare: Viva l’Italia! imitando così Antonio Sciesa,
il popolano milanese celebre nella storia per la tipica frase: «Tiremm innanz» con la quale
rispose alle promesse di aver salva la vita se rivelava i nomi dei compagni di fede.
Molti anni dopo (nel 1881) gli sarebbe stata eretta una colonna spezzata nel cimitero cittadino,
presso la fossa che racchiudeva le sue ossa.
Nel Diario dei martiri italiani, fra i morti combattendo contro gli austriaci
per la difesa di Venezia, come appartenenti a S. Donà, si trovano i seguenti nomi:
Bincoletto Luigi De Nobili Francesco Papa Giuseppe Zago Paolo, artigliere.
Senza indicazione di paese si trovano i nomi di Conte Francesco, Padovan Giuseppe, Padovan Antonio,
Padovan Luigi, Favero ed altri, che molto probabilmente sono oriundi di S. Donà.
Nell’elenco poi che si vedeva esposto in Municipio erano segnati fra i volontari che nel 184849 difesero Venezia,
i seguenti:
Alfier Pietro, Baron Antonio di G. B., Baron Girolamo, Barbini Giusto, Battistella Giovanni,
Boccaletto Pietro, Binelli Luigi, Borin Sante, Cian Alberto,
Callegher Antonio, Cibin Sante, Chinaglia Grisante, Dal Moro Giovanni di Antonio,
Davanzo Giovanni, Finotto Giovanni, Guerrato Antonio fu Antonio, Guerrato Giacomo,
Montagner Antonio, Milani Domenico, Nesto Giov. Battista, Onor Francesco, Papa Giuseppe,
Perissinotto Antonio, Quintavalle Angelo, Quintavalle Antonio, Rossi Giuseppe, Rossi Sperandio,
Schiavinato Domenico, Scotto Luigi, Trentin Angelo, Bincoletto Pietro.
In quest’elenco furono dimenticati Bincoletto Luigi, De Nobili Francesco,
Zago Paolo e forse il Conte Francesco, i Padovan, il Favaro o De Nobili, per i quali le pratiche
per l’identificazione riuscirono infruttuose. La dimenticanza può dipendere dal fatto che
il Zago apparteneva a famiglia che ha dimorato per poco a S. Donà, gli altri a famiglie
di S. Donà stabilite a Venezia prima del 1848. Dopo la resa di Venezia del 1849, S. Donà fu liberata dalle truppe austriache, ma un inasprimento serio avvenne nelle misure per reprimere le manifestazioni di patriottismo, essendosi sostituita ai famosi birri la gendarmeria, con facoltà di usare delle armi in date circostanze e l’obbligo di non lasciare passare la più piccola infrazione alle rigorose imposizioni poliziesche.
La II guerra d'indipendenza
Venuto il 1859 S. Donà tornò ad essere occupata per qualche tempo dalle truppe austriache,
male disposte dagli insuccessi di Giulay. Anche in quest’epoca i sandonatesi risposero all’appello
della patria schiava: alcuni furono costretti ad emigrare per sottrarsi alle vessazioni della polizia,
ma i più lasciarono il paese dopo l’
11 luglio 1859, in cui
a Villafranca furono segnati i preliminari di pace fra Napoleone III e l’Austria, e si arruolarono
nei volontari dell’esercito piemontese per concorrere alla liberazione del Veneto.
L’elenco municipale ci dà i seguenti nomi: Boer Antonio, Boer Giorgio, Boer Giuseppe,
Bottan Nicolò, Bertacco Tommaso (*), Baron Giuseppe, Biason Vincenzo, Boscoscuro Ferdinando,
Barbini Carlo, Baradel Giuseppe, Battistella Francesco, Battistella Angelo,
Barbini Giovanni Battista (*), Callegher Giuseppe, Chinaglia Francesco, De Nobili Ferdinando,
De Nobili Raimondo (*), Davanzo Carlo, Finotto Giovanni di Paolo, Fuser Luigi,
Fuser Giovanni, Grandese Giovanni, Guerrato Francesco, Maschietto (Pesca) Angelo,
Mucelli Giuseppe (*), Murer Giovanni, Murer Pietro, Marusso Angelo (*), Pavanetto Luigi,
Pavanetto Eugenio, Picchetti Luigi, Papa Giuseppe di Angelo, Trentin Angelo, Vescovo Giuseppe,
Vescovi Giordano, Vescovi Giovanni, Barbin Luigi (che fece la campagna di Mentana)
(* Volontario con Garibaldi nel 1866).
Di questi ritornarono in patria col grado
d’Ufficiale Antonio Boer e Giuseppe Callegher; furono decorati della medaglia al valore per
essersi distinti nei fatti d’armi lo stesso Antonio Boer e Papa Giuseppe fu Angelo;
rimase ferito il 1° ottobre sotto Capua, Mucelli Giuseppe; morì poi valorosamente
combattendo al Volturno contro i borbonici il 2 ottobre 1860 Vincenzo Biason.
Nuovo vescovo a Treviso
Di origini veneziane, e di nobili natali, fu [1].
Il
23 agosto 1861 veniva indicato dal governo asburgico come vescovo di Treviso
il nobile Federico Maria Zinelli, di origini veneziane.
Aveva rivestito il ruolo di direttore del seminario di Venezia,
quindi di canonico teologo di San Marco e poi di vicario generale del patriarcato.
La nomina fu confermata il 30 settembre successivo da papa Pio IX.
Conosciuto per la grande cultura e le rigide posizioni teologiche
si presentava con un'espressione altezzosa e la larga faccia quadra,
i capelli, lisci e lunghi dietro le orecchie e sul collo.
Il censimento del 1862
1831 | Comune | 1862 | incremento | incr. % |
4.606 | San Donà di Piave | 6.070 | +1.464 | +31,8% |
1.703 | Cava Zuccherina | 2.303 | + 600 | +35,2% |
1.225 | Ceggia | 1.917 | + 692 | +56,51% |
1.590 | Fossalta di Piave | 2.108 | + 518 | +32,6% |
1.113 | Grisolera | 1.773 | + 660 | +59,3% |
1.392 | Meolo | 2.366 | + 974 | +70% |
1.283 | Musile | 1.939 | + 656 | +51,1% |
2.176 | Noventa | 2.934 | + 758 | +34,8% |
622 | San Michele del Quarto | 1.365 | + 743 | +119,5% |
1.120 | Torre di Mosto | 1.514 | + 392 | +34,9% |
16.830 | Totale del Distretto | 24.289 | + 7459 | +44,3% |
Atti di patriottismo
In seguito alla Seconda Guerra d'Indipendenza italiana, si moltiplicarono
a San Donà le azioni dimostrative in favore della causa italiana. La notte del 24 giugno 1863,
quarto anniversario della Battaglia di Solferino
e San Martino, tre sandonatesi inalberarono sul tetto della residenza municipale,
ora uffizi dei consorzi, una bandiera tricolore di seta,
regalata dalla signora Giovanna Guarinoni, nota per i suoi sentimenti patriottici.
All’alba del dì seguente il vessillo sventolò superbo fin tanto che la polizia,
scompigliata da tanta baldanza, non riuscì ad impadronirsi del corpo del reato,
sul quale s’imbastì analogo processo politico. Questa dimostrazione ardita,
ispirata da alcuni signori del paese, ebbe per intrepidi e avveduti esecutori
Giuseppe Mucelli, Giuseppe Baradel e Leopoldo Zaramella, tre distinti operai,
tre buoni cittadini, tre ottimi patrioti, i due primi già appartenenti ai volontari del patrio riscatto,
il terzo si sarebbe arruolato nel 1866. Il vessillo incriminato venne dal Pretore
custodito nel luogo più sicuro dell’ufficio, ossia nel cassetto della propria scrivania.
La bandiera viene rubata
Nell’ottobre dello stesso anno il Mucelli e lo Zaramella, ai quali si associò Antonio Battistella,
falegname come i primi due, decisi di riavere la bandiera resa sacra dalla persecuzione austriaca,
approfittando di una notte in cui imperversava il temporale, con un vento infuriato e con abbondanti
scariche di tuoni, penetrarono nell’ufficio pretoriale
[che poi sarebbe diventato la caserma delle Guardie di Finanza] e scassinate porte e cassetti
poterono prendere la bandiera tanto desiderata e uscire inavvertiti.
L’ardua impresa destò in paese grande rumore per il fatto che non furono toccati i denari
dei depositi e gli oggetti di valore che si trovavano accanto alla bandiera, e gli autori
della sottrazione di questa non lasciarono tracce del loro passaggio. Tuttavia le perquisizioni
domiciliari si estesero a molte persone sospette di sentimenti patriottici,
ma senza esito, perché la bandiera, bene piegata, poté dal Mucelli venir nascosta
nel vuoto invisibile praticato ingegnosamente, in un tagliere di legno,
che rimase appeso in cucina insieme a vari altri,
e sfuggire così all’occhio vigile della polizia.
Nell'aprile del 1864 un altro vessillo tricolore fu issato sopra la croce
ferrea del duomo. Questa bandiera, benedetta dal sacerdote sandonatese Giuseppe Nardini
e collocata coraggiosamente da Giuseppe Mucelli, assistito da Baradel Giuseppe,
impressionò il popolo, che nel mattino seguente la vide sventolare.
(Dopo il 1866, ossia dopo l’annessione di San Donà al Regno d’Italia,
l'impresa sarà ricordata fregiando dei tre colori la banderuola segnavento posta
sotto la croce della vecchia chiesa arcipretale.)
Nel giugno dello stesso anno per opera di per opera di Giorgio Boer e Domenico Novello,
le tre campane del duomo furono dipinte di verde, bianco e rosso.
Il 18 agosto, nella ricorrenza
dell'anniversario della nascita dell'imperatore d'Austria Francesco Giuseppe I,
la campana maggiore venne privata del batacchio e al momento della celebrazione, alla presenza
delle autorità civili e militari, le campane suonarono a morto.
Tutte queste ardite dimostrazioni, come è naturale, inasprirono la polizia corbellata.
1866: la III guerra d'indipendenza italiana
Il 1866 fu l'anno chiave per il Veneto, perché la crisi di coscienza di chi
si sentiva italiano e cattolico si risolse.
Nel giugno 1866, approfittando della breve assenza del telegrafista austriaco,
alcuni cospiratori ispirarono, e due arditi operai eseguirono il trasporto dell’apparato
telegrafico Morse, per impedire al governo di aver notizie.
In quest’epoca,
ultima tappa dei combattimenti contro la schiavitù, come nel 1859 e 1860, vari cittadini
di S. Donà presero parte alla campagna contro gli Austriaci
e Rasa Francesco Gaspare [vedi il Diario dei martiri del Fantoni]
morì combattendo nella infausta giornata di Custoza.
Si arruolarono nelle bande armate per rinforzare il corpo dei volontari comandati
dal generale Garibaldi, oltre i cittadini più sopra segnati con asterisco,
Boccato Pietro, Battistella Luigi, Battistella Antonio, Bertacco Luigi,
Pinotto Francesco, Murer Antonio, Pasini Angelo, Pasini Giovanni, Pavanetto Angelo,
Stalda Luigi, Stalda Francesco, Sante Luigi, Striuli Luigi, Trentin Giovanni
e Zaramella Leopoldo, alcuni dei quali, se non poterono incontrare il nemico,
come era loro intenzione, dimostrarono che per la patria si sarebbero sacrificati.
Se non delle truppe italiane ma piuttosto per merito di quelle prussiane,
che inflissero una pesante sconfitta all’Austria nella battaglia di Sadowa ai primi di luglio,
il Veneto tornava diventava comunque italiano:
l'Austria lo cedeva a Napoleone III, e gli accordi tra Francia e Italia
prevedevano che il Veneto venisse “girato” all’Italia.
Il 18 luglio 1866, dopo quasi settant’anni di dominazione straniera,
S. Donà poté sciogliere un inno alla libertà. All’alba i cittadini, solleciti come scoiattoli,
staccarono tutti gli stemmi austriaci dagli uffici pubblici e dalle privative e alle sette antimeridiane
nella pubblica piazza gremita di popolo plaudente furono distrutti dal fuoco al grido di
«Viva l'Italia!». Un’ora dopo l'autodafè, giunsero in paese cinque cavalleggeri Monferrato,
accolti da ovazioni entusiastiche. La bandiera tricolore che era stata nascosta in casa Mucelli
uscì dal tagliere [in seguito, la madre del defunto Mucelli offrì i resti della vecchia bandiera
alla Casa Reale e il Ministro Ratazzi, nel ringraziarla del gentil pensiero,
con suo dispaccio del 12 novembre 1885, N. 1186, la consigliò di cedere le reliquie
del vessillo arditamente innalzato sotto la dominazione austriaca, al Museo dei ricordi
storici del Risorgimento nazionale] e assieme a tante altre bandiere, improvvisate per incanto,
poté sventolare liberamente. Verso sera giunsero un capitano e alcuni ufficiali di fanteria,
che furono ospitati in casa Bortolotto, dove si recarono i notabili del paese a festeggiarli
colla banda civica. Il paese venne interamente illuminato; furono accesi dei fuochi d’artificio,
sparati dei mortaretti e suonate marce patriottiche. I cittadini erano in preda
a una gioia indicibile: molte giovanette colle coccarde tricolore presero parte
alla festa applaudite. Fu una solennità spontanea, commovente, improvvisata,
alla quale parteciparono cittadini d’ogni classe con espressioni di letizia indescrivibile.
L'enfasi del Plateo è riconoscibile nel paragrafo sopra. E di quel che successe nei giorni successivi, al prossimo capitolo.